NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Il Premio giornalistico Menegazzo finisce a “casa nostra”

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Il Premio giornalistico Menegazzo finisce a “casa

A dicembre compirà trentatré anni. È appassionato dei fumetti di Hugo Pratt. Ha un setter inglese cui è affezionatissimo e colleziona sterline e scellini d'argento sudafricani («Ma solo monete ante 1994», precisa). Federico Murzio ha vinto la settima edizione del Premio Alfio Menegazzo con un pezzo sulla vita di provincia. Ma in tre anni ha anche firmato una corrispondenza da L'Aquila tra gli sfollati abruzzesi e i volontari della Protezione Civile Ana di Vicenza e un reportage da Sarajevo, dove è andato al seguito di un convoglio umanitario, descrivendo la Bosnia Herzegovina a quindici anni dalla fine della guerra. La prima impressione è che a fare questo lavoro lui si diverta moltissimo.

Federico, congratulazioni per la vittoria. Prima di parlare del premio, però, vorrei fare un passo indietro e ricordare brevemente i tuoi esordi nel giornalismo.

«Ci sono arrivato quasi per caso alla soglia dei trent'anni quando mi occupavo di tutt'altro. Ho iniziato nel 2006 scrivendo i resoconti della vita associativa della Sezione Alpini di Vicenza sul periodico associativo Alpin Fa Grado (21mila copie di tiratura, ndr). Poi, nel 2007, ho preso la decisione di dedicarmi completamente al giornalismo».

Quali elementi hanno influito in questa decisione?

«Nel giro di pochi mesi ho cambiato lavoro, morosa e ho perso dieci chili: ciò significa che le ragioni per voltar pagina c'erano tutte. Ho avuto però il vantaggio di crescere in un ambiente culturale vivace e, soprattutto, non convenzionale. Grazie a legami familiari ho conosciuto e frequentato persone diversissime tra loro ma che per status, professione ed esperienze nella vita pubblica hanno influito sulla mia formazione umana. Così, in quella che è la naturale imitazione dei giovani verso gli adulti, ho coltivato la curiosità di conoscere il mondo attraverso le loro esperienze ripromettendomi un giorno di poterlo scoprire da solo. Ecco perché oggi faccio il giornalista e a quelle persone va la mia gratitudine».

Siamo curiosi. Puoi fare qualche nome?

«Giovanni Luigi Fontana, ad esempio, scledense, che oggi dirige il dipartimento di storia dell'Università di Padova. Giuliano Zoso, professore di lettere, più volte parlamentare e sottosegretario. E ancora Percy Allum, il sociologo inglese che a Vicenza e in Veneto è di casa. O Ilvo Diamanti».

Ha colpito che proprio oggi, quando di fatto è stata premiata la tua scelta, sei venuto a ritirare il premio da solo. Perché?

«Non è del tutto vero, in platea era presente anche il professor Fontana. La ragione è semplice: dignità. A dicembre compirò 33 anni e questa non è stata una cerimonia tipo "prima comunione", non mi sembrava il caso di farmi accompagnare da genitori e parenti. Inoltre fare il giornalista è stata appunto una mia decisione. Sono onorato e felice di aver vinto un premio tanto prestigioso, ma non ci trovo nulla di strano che oggi mi goda questo momento da solo».

Riprendiamo. Nel 2007 sei arrivato a La Domenica.

«Non è stata una scelta casuale. All'epoca pensavo che lavorare per un settimanale piuttosto che per un quotidiano o un mensile mi avrebbe dato una possibilità in più di emergere. Scrivere per un settimanale, infatti, richiede tempi e una capacità di raccolta dei dati e di sintesi tali da permettere l'approfondimento delle notizie ».

Ti ricordi la tua prima inchiesta?

«Certo. "Quando la serranda si abbassa": un servizio sulla chiusura delle piccole botteghe in città e nei centri urbani medio-piccoli della provincia descrivendo anche le conseguenze del fenomeno sulla popolazione, soprattutto su quella non più auto sufficiente. Nel 2007 La Domenica era ancora cartacea. Ora quel mio primo articolo è incorniciato e appeso al muro del mio studio».

Durante la cerimonia si è affermato che la gavetta nelle "piccole" redazioni è un'ottima palestra per chi inizia questo mestiere. Ne hai accennato anche tu nel discorso di ringraziamento. Cosa ci puoi dire ancora?

«Lavorare a La Domenica mi ha dato la possibilità di approfondire gli aspetti più intriganti e curiosi della vita di provincia. Il che è un arricchimento umano e professionale che nessuna scuola di giornalismo o università può dare. L'altro grande vantaggio, forse il più importante, è acquisire la capacità di spaziare in diversi contesti dedicando al lavoro lo stesso impegno, la stessa umiltà, la stessa cura nella ricerca delle fonti a prescindere dall'argomento trattato».

Si è parlato -e molto- degli stipendi esigui dei giornalisti, in particolare dei collaboratori. Il presidente dell'Ordine dei Giornalisti del Veneto, sull'ultimo numero di Noi Giornalisti, ha scritto che anche un compenso adeguato contribuisce alla qualità d'informazione, alla libertà e all'indipendenza di chi fa questo lavoro. Cosa ne pensi?

«Le parole di Gianluca Amadori sono pienamente condivisibili. Fermo restando che chiunque esca dalla scuola superiore o dall'università pensando di diventare ricco sfondato facendo il giornalista dovrebbe ripensare seriamente ai propri obiettivi nella vita».



Foto Andrea Moretti

nr. 34 anno XV del 25 settembre 2010

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