![]() |
![]() |
|
![]() ![]() |
||
![]() |
![]() |
La rivitalizzazione della DC
«Sono convinto - scrive Rumor - che anche per lui l'arroganza con cui Pella gestiva la politica finanziaria del Paese fosse diventata eccessiva e che non gli dispiacesse l'idea di spezzare quel monopolio equilibrando poteri e indirizzi con l'emergente e più aperta politica di Vanoni. Per conto suo -continua Rumor - Dossetti pensava di rendere il suo ultimo servizio alla DC, portando alla ribalta della politica economica Fanfani». Fanfani aveva appoggiato la campagna di Rumor di rivitalizzazione e di riorganizzazione del partito. Dossetti ne apprezzava fortemente la fantasia economica, la grande capacità realizzatrice, la risolutezza nel coordinamento. Anche Dossetti apprezza grandemente l'opera di Rumor e lo va spesso a trovare nel suo ufficio a Piazza del Gesù per esporgli il suo piano di risoluzione della crisi: vuole portare Fanfani al ministero del Bilancio, La Pira a quello del Lavoro e Lazzati alla Pubblica Istruzione. Rumor gli prospetta che la sua visione della politica era troppo utopistica e non avrebbe trovato l'approvazione di De Gasperi.
L'utopia di Dossetti
«Il disegno è bello - gli obietta Rumor - ma con l'aria che tira mi pare troppo bello». De Gasperi, che non parlava mai con Dossetti, ma solo con Fanfani che apprezzava per le sue idee chiare e il suo pragmatismo, propone il ministero dell'Agricoltura al solo Fanfani e agli altri del gruppo dossettisano niente. Dossetti si sente sconfitto e decide di abbandonare la vita politica e di dedicarsi alla vita monacale (nel 1956 pronuncerà i voti religiosi e in seguito sarà ordinato prete). Rumor commenta: «De Gasperi aveva vinto. Il dossettismo come gruppo organizzato era finito». La sconfitta di Dossetti è in parte una sconfitta anche di Rumor che credeva nelle istante sociali e di difesa delle classi più deboli portate avanti dall'amico. Rumor scrive: «Era altrettanto chiaro che per me si concludeva definitivamente quell'esperienza dura, contrastata, ma suggestiva che avevo vissuto nel partito con l'illusione di rinnovarlo, seppure con l'ostilità e lo scetticismo di una classe dirigente che consideravo inadatta a capire il nuovo e con la solidarietà di Dossetti e quella di una periferia giovane o sensibile alle esigenze di mutamento. Io avevo illuso tanta gente, l'avevo fatta sperare fidando in me e negli strumenti che ritenevo validi, credendo soverchiamente nella funzione rinnovatrice di un nuovo modo di concepire il partito. Ero stato un ingenuo, un sognatore, avevo sopravvalutato lo strumento partito rispetto alla forza radicata e tenace di una classe dirigente autogenerantesi. Che mi restava da fare? Dossetti se ne andava, le forze giovani e nuove che mi avevano sostenuto e creduto nel mio metodo si sarebbero disperse nella delusione o si sarebbero rassegnate ad accettare tutto il vecchio che aveva vinto e che si apprestava a liquidare il nuovo».