NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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In ricordo di Mario Trevisan, professore e poeta che ha dedicato la sua vita a Vicenza

Nelle sue composizioni una serie di inni ai Colli Berici, a Vicenza, alla Rotonda, a Monte Berico, alla “Mia Terra”, che è il testo più commosso e riuscito di tutta un’ampia raccolta in cui si ricorda la fanciullezza quando l’autore si fermava a contemplare i tramonti

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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MARIO TREVISAN

Mercoledì 10 novembre alla Biblioteca Internazionale "La Vigna" verrà presentato l'ultimo libro postumo di uno dei poeti vicentini più profondi e impegnati: Mario Trevisan, nato a Povolaro di Dueville, che ha dedicato tutta la sua vita prima all'insegnamento di storia e filosofia e poi alla presidenza di vari istituti superiori vicentini. Ha pubblicato le raccolte di poesie in dialetto "Quadretti de vecie stajon", "A lume de Canfin", "Tempi veci e tempo novi" e in italiano "Nel buio una luce", "I miei salmi - Canti di fede e di speranza" (La Domenica di Vicenza, 15 novembre 2003). È morto il 2 giugno 2005. I suoi familiari hanno pubblicato, dopo la sua compianta scomparsa, la raccolta di poesie a carattere religioso "L'arcana e consolante presenza del Divino Assente nella nostra vita", la silloge di poesie dialettali "El me paese", la "Parafrasi in versetti del Padre Nostro" e questa raccolta "Canti alla mia terra", che è l'ultimo omaggio che egli dedica alla sua patria e che incomincia con un "Inno a Vicenza", un'ode di splendidi e variati endecasillabi che esaltano le bellezze della natura della nostra città, città "benedetta" da Dio per i suoi monti e i colli e dalla Vergine che l'ha eletta a suo santuario "da costruir sul colle innanzi al sole".

Inno a Vicenza

«T'ha posta Unesco tra l'urbi eccelse / da conservar pei posteri lontani, / visti i tesori d'arte in te racchiusi / nel nome di Palladio tuo architetto». L'inno percorre tutta la storia di "Vicetia", dalle antichità romane fino all'avvento del cristianesimo, che conquistò ben presto la piccola città che divenne grande per il martirio di tanti santi e che eresse il tempio di San Felice fuori delle mura storiche. Il poeta ricorda la storia medievale quando Vicenza marciò contro gli imperatori tedeschi che si allearono a Ezzelino da Romano, poi la conquista di Venezia agli inizi del Quattrocento, fino alla rivelazione della gloria dell'arte palladiana che rese il nome di Vicenza famoso in tutto il mondo.


Città dell'oro

Trevisan ricorda anche i due conflitti mondiali e il rifiorire dei palazzi antichi nel secondo dopoguerra: «Or ti presenti di decor splendente / in piazze e vie spesso rimesse a nuovo, / ricca di cento e cento iniziative / d'arte e cultura e tecnico progresso». Ora è nota in tutto il mondo come "città dell'oro", ma la sua dote migliore, oltre la sua ricchezza e il dinamismo imprenditoriale, è quella di aver conservato i valori di fede tramandati dagli antenati: «Dalle serliane della tua Basilica, / simbolo e gloria del fervor d'un tempo, / noi tutti t'ammiriam, Vicenza nostra, / bene augurando alle future glorie».


Inno ai colli Berici

Commosso e ammirato, sia dal punto di vista poetico che stilistico, è l'inno dedicato ai colli Berici «nati dal fuoco di vulcani antichi / a ricoprir d'alture il Bassovicentino, / da cento vallette... uniti / in un ambiente aspro e pien di fascino». Un inno che si oppone a quello di Piovene, che ha dedicato pagine immortali ai colli natali, il più bel paesaggio del mondo, pallido, argenteo, sfumato, vaporoso, morbido e raro nei suoi tramonti chimerici come un miraggio e soffusi di colori smaglianti e striati di dolcezze eteree e solitarie («io sogno questi luoghi quasi ogni notte, e nei momenti d'ansia con dolcezza quasi ossessiva»). Il paesaggio di Trevisan è "arido e petroso", povero d'acqua che ricorda una vita "aspra" e povera che ha oppresso per secoli i suoi abitanti. Ora questi colli non appartengono più alla poesia e alle altezze vertiginose pioveniane ma pullulano di ristoranti accattivanti e di locali ameni, dove folle di avventori vanno a «chieder piatti / sani e allegri e tipici del luogo».

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