Inno a Vicenza
«T'ha posta Unesco tra l'urbi eccelse / da conservar pei posteri lontani, / visti i tesori d'arte in te racchiusi / nel nome di Palladio tuo architetto». L'inno percorre tutta la storia di "Vicetia", dalle antichità romane fino all'avvento del cristianesimo, che conquistò ben presto la piccola città che divenne grande per il martirio di tanti santi e che eresse il tempio di San Felice fuori delle mura storiche. Il poeta ricorda la storia medievale quando Vicenza marciò contro gli imperatori tedeschi che si allearono a Ezzelino da Romano, poi la conquista di Venezia agli inizi del Quattrocento, fino alla rivelazione della gloria dell'arte palladiana che rese il nome di Vicenza famoso in tutto il mondo.
Città dell'oro
Trevisan ricorda anche i due conflitti mondiali e il rifiorire dei palazzi antichi nel secondo dopoguerra: «Or ti presenti di decor splendente / in piazze e vie spesso rimesse a nuovo, / ricca di cento e cento iniziative / d'arte e cultura e tecnico progresso». Ora è nota in tutto il mondo come "città dell'oro", ma la sua dote migliore, oltre la sua ricchezza e il dinamismo imprenditoriale, è quella di aver conservato i valori di fede tramandati dagli antenati: «Dalle serliane della tua Basilica, / simbolo e gloria del fervor d'un tempo, / noi tutti t'ammiriam, Vicenza nostra, / bene augurando alle future glorie».
Inno ai colli Berici
Commosso e ammirato, sia dal punto di vista poetico che stilistico, è l'inno dedicato ai colli Berici «nati dal fuoco di vulcani antichi / a ricoprir d'alture il Bassovicentino, / da cento vallette... uniti / in un ambiente aspro e pien di fascino». Un inno che si oppone a quello di Piovene, che ha dedicato pagine immortali ai colli natali, il più bel paesaggio del mondo, pallido, argenteo, sfumato, vaporoso, morbido e raro nei suoi tramonti chimerici come un miraggio e soffusi di colori smaglianti e striati di dolcezze eteree e solitarie («io sogno questi luoghi quasi ogni notte, e nei momenti d'ansia con dolcezza quasi ossessiva»). Il paesaggio di Trevisan è "arido e petroso", povero d'acqua che ricorda una vita "aspra" e povera che ha oppresso per secoli i suoi abitanti. Ora questi colli non appartengono più alla poesia e alle altezze vertiginose pioveniane ma pullulano di ristoranti accattivanti e di locali ameni, dove folle di avventori vanno a «chieder piatti / sani e allegri e tipici del luogo».