Inno alla Rotonda
«Fuor di Vicenza, verso la Riviera, / su colle ameno che degrada al fiume / sola e solenne appare la Rotonda, / ideal modello di perfetta villa». Così incomincia l'inno fastoso e sontuoso di Trevisan alla villa più famosa del Palladio. Il poeta ne descrive i quattro fronti, le scalee, i pronai a sei colonne, «dai quali tu puoi godere ampi orizzonti / con vista di pianure e colli e monti». Il polisindeto amplifica l'entusiasmo e l'amore dell'autore per le bellezze della villa «bene integrata nella real natura / ed elegante insieme in ogni aspetto», modello imitato in tutto il mondo ma insuperato "nel suo perfetto impianto".
Inno a Monte Berico
Un altro inno alla Madonna di Monte Berico ricorda un'analoga lirica di Giacomo Zanella. Il confronto fra le due poesie fa emergere e pone in chiara luce il carattere e la natura profondamente diversa dei due poeti. Il primo scrive "Alla Madonna di Monte Berico" che incomincia così: «Dalla santa pendice, ove i tuoi piedi, / o Vergine, posasti e di salute / larga fontana a' tribolati apristi, / coll'amoroso tuo sguardo materno / la città sottoposta e le convalli / ampie dall'Alpi alla marina esplori / tutte quante»... Il Trevisan, invece, incomincia con queste parole: «Sorge colle che il confin racchiude / della città verso mezzodì / un nobil tempio dedito a Maria / per suo volere eretto al Quattrocento». Da questi incipit si nota il tono aulico, solenne e paludato della poesia classica del primo quanto quello dimesso, umile e popolare del secondo, sottolineato e accentuato dai versi finali: «Qui pregar l'avi con profonda fede / contro la peste e le terribil guerre, / e qui pregan tuttora i vicentini / sicuri che Maria li esaudirà».
Alla mia terra
Il libro si conclude con un ultimo inno "Alla mia terra", che è il testo più commosso e riuscito di tutta la raccolta. Il poeta ricorda la sua poverissima fanciullezza quando con i piedi scalzi e i calzoncini corti andava a zappare i campi «con il sudore in fronte e la gioia nel cuore», quando si fermava a contemplare i tramonti e i vapori che uscivano dalle rogge per velare i campi, le siepi e le cose che gli stavano intorno.
Un doveroso riconoscimento
Egli ringrazia la sua terra per i molti giorni pieni di sole e di gioie intense che gli ha concesso, per la bellezza dei prati in fiore, per il sapore e il profumo dei grandi tini ricolmi di vino nei giorni saporosi dell'autunno, per il calore dei campi e dei prati sotto il sole d'agosto, per i canti e le carole natalizie nei giorni invernali che ricoprivano la terra della folta coltre delle nevi, per la gente piena di amore che circondò la sua giovinezza e lo educò alla fede e ai pensieri profondi che hanno caratterizzato la sua vita. Infine, nell'ultimo addio, ricorda la sua morte e, rivolgendosi alla sua terra, si augura che «i resti dei miei padri nel tuo seno / qua e là conservi ancora con amore; e pure il cener mio a te destino / che culli a sera ognor la tua campagna». Trevisan meriterebbe un ricordo e un riconoscimento da parte delle autorità vicentine che dovrebbero onorare con la dovuta riconoscenza un poeta modesto e solitario che ha dedicato tanti libri e tante liriche stupende al suo paese natale e alla terra vicentina.
nr. 37 anno XV del 16 ottobre 2010