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Se qualcuno vi chiedesse quando e dove sia nato l'alpinismo moderno, potreste a buon diritto ricordare la fondazione del Club Alpino Italiano (Cai) avvenuta nel 1863, potreste ricordare la figura di Quintino Sella, appunto il fondatore del Club, potreste infine pensare a luoghi come Courmayer, il Monte Bianco. Potreste, in effetti, e sbagliereste. Già, perché il vero precursore dell'alpinismo, intesto come descrizione e apprezzamento del panorama alpino, come mappa di percorsi da percorrere e come stupore nell'entrare in contatto con popoli e tradizioni tipici delle alte quote montane, va cercato a Vicenza. Strano, non vi pare? E invece è proprio così e peraltro bisogna anche andare indietro nel tempo.
È proprio nell'ambito di questo suo lavoro a metà fra esploratore, diplomatico e guerriero che Francesco Caldogno scrive un testo fondamentale, considerato appunto la nascita dell'interesse per l'alpinismo. Si tratta della "Relazione dell'alpi vicentine e dei loro popoli, boschi e passi". Uno dei manoscritti originali è conservato alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza e Francesco Caldogno lo consegnò alla Serenissima nell'ottobre del 1598.
Recentemente un grande alpinista vicentino, Tarcisio Bellò, ha riscoperto questo testo e lo ha pubblicato per i tipi dell'editrice Serenissima. Bellò, che ha scalato due ottomila, Everest e Dhaulagiri, e ha fatto da capo spedizione ad almeno una decina di spedizioni alpinistiche in tutto il mondo, torna alle radici della sua passione restituendo ad un italiano contemporaneo la prosa cinquecentesca di Francesco Caldogno. Ma non si ferma qui: scavando nelle biblioteche, confrontando testi, ma soprattutto eseguendo personalmente decine di rapidissime escursioni, Tarcisio Bellò è riuscito a confezionare una "Guida ai percorsi di Francesco Caldogno".
Si tratta di un modo per tornare a ripercorrere quegli stessi sentieri e quelle stesse strade che un tempo attraversavano il Vicentino e che hanno condotto eserciti e sovrani nel corso di battaglie e lotte cruentissime. Ma erano anche le stesse strade dei mercanti e quelle dei contrabbandieri. Insomma, se si vuole tornare alle origini dell'alpinismo, bisogna passare per Vicenza e per un vicentino. Ma se dovessimo parlare di sci? Per me questo è argomento delicato: sono nato a metà degli anni Sessanta e, in ragione anche di un problema di salute, all'età di quattro anni mi hanno spedito a "respirare aria buona" in montagna. Ogni anno, due settimane, a febbraio. Cosa può fare un bambino di quattro anni a febbraio in montagna? Scia! E io ho fatto esattamente così e uno dei miei ricordi più cari è quello relativo al giorno in cui, con il mio nonno, sono andato a comprare il mio paio di sci. Erano rossi, di legno, con un grande gancio da abbassare davanti allo scarpone, all'epoca rigorosamente di cuoio e con i lacci ugualmente rossi. Dovevano essere alti quanto lo sciatore con il braccio destro sollevato sopra la testa: quindi erano altissimi, pesantissimi e difficilissimi da usare. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto ad imparare e a non farmi male. Poi sono arrivati i supermateriali, gli attacchi di sicurezza, i salvifici ski-stopper (peraltro anche questi invenzione di un vicentino), e gli sci larghi, sciancrati, da carving, quelli che in pratica girano da soli...
Bene se adesso vi dicessi che c'è una società che sta nuovamente producendo sci completamente di legno e che sta testando questi materiali, scoprendo (ma guarda un po'!) che gli sci di legno sono tanto buoni se non migliori di quelli ipertecnologici, voi dove pensereste che sono stati pensati e costruiti? In Austria? In Svizzera? O piuttosto in Alta Badia o in Valle D'Aosta? Ovviamente no: sono stati pensati, progettati, testati e costruiti interamente, dall'inizio alla fine, proprio a Vicenza.