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«Senza dubbio sì, se non operiamo sull'educazione e sulla scuola. Questo non soltanto per la lirica e la musica ma per l'arte e la cultura in generale. Bisogna che la scuola si faccia carico e abbia i mezzi per creare cittadini più consapevoli che possano scegliere. Se noi non affrontiamo questa possibilità di scelta, prevale quello che i mass media propinano giorno e notte. Ogni volta che la musica viene portata al pubblico, ai giovani, nelle scuole e nelle piazze, c'è una risposta entusiastica straordinaria. La lirica, la musica colta, non è morta e piace tantissimo, purché il pubblico possa accedervi».
A proposito di approccio popolare e di massa, molti danzatori e coreografi ci dicono di essere favorevoli ai talent show di danza perché hanno contribuito a far capire alla gente che questa disciplina è una cosa importante e bella e che dietro c'è molta fatica e lavoro. Tutto ciò ha portato molti giovani a teatro. Ci hanno provato anche con la lirica ma pare che non si sia avuto un riscontro analogo. Come mai secondo lei?
«La questione della musica è un po' particolare: se non c'è un minimo di alfabetizzazione e di conoscenza del linguaggio, è difficile. La danza ha una sua corporeità naturale che in qualche modo tutte le persone vivono. Anche lo sport: qualunque bambino tira calci a un pallone e impara a coordinarsi. Per la musica è necessario che uno cominci ad educare un po' il suo orecchio e provi a strimpellare uno strumento qualsiasi. A quel punto, avendo qualche conoscenza del linguaggio musicale, si può comprendere meglio quello che viene offerto. A offrire la musica senza un minimo di educazione musicale, si rischia che non venga compresa».
Dopo le iniziative di Pavarotti che hanno portato a sperimentazioni trasversali tra pop e opera, è nato il pop operistico. Questo secondo lei avvicina la gente all'opera o crea equivoci? Chi fa pop operistico può fare anche opera lirica tradizionale?
«Ma sì, su queste cose non mi scandalizzo: le contaminazioni esistono da sempre. La discriminante è la consapevolezza del pubblico: più il pubblico è critico e consapevole e in qualche modo preparato, più è difficile far passare cose di scarso valore. In uno stadio di calcio è difficile far giocare un brocco, perché tutti conoscono quello sport e sanno come si gioca, è difficile imbrogliare. Deve essere la stessa cosa anche per la musica».
Lei ha lavorato molto in Russia. Come è stato accolto il lavoro di un direttore occidentale? Loro tendono ad essere molto protezionisti.
«Lo erano quando il regime teneva chiuse le frontiere, ora il pubblico e i musicisti sono estremamente aperti a ciò che di diverso noi possiamo portare: la nostra sensibilità e il nostro modo di essere e di fare musica non è né meglio né peggio ma diverso e quando portiamo l'opera italiana con artisti e direttori italiani, sono molto interessati e affascinati. Io sono sempre accolto con grande entusiasmo e affetto, veramente straordinario. Così come deve essere quando gli artisti russi vengono e portano i frutti della loro cultura che certamente conoscono meglio di noi. La musica è fatta per rompere le barriere e portare fratellanza e libertà nel mondo».
Anche se ci sono nuove orchestre e tentativi di sperimentazione, nella classica le novità vengono forse più apprezzate all'estero. Come mai la lirica rimane ancorata a certe tradizioni che si fa fatica a rinnovare senza stravolgere? Molti ancora non approvano allestimenti contemporanei.
«Lo so, questo è difficile. Il problema si risolverebbe componendo nuove opere che abbiano tematiche contemporanee concepite per il nostro tempo e che quindi giustificherebbero l'allestimento moderno. Il problema è che bisogna trovare un linguaggio che sia allo stesso tempo popolare e artisticamente valido».
Un' opera come "The death of Klinghoffer" di John Adams: il tema è sicuramente d'attualità ancora oggi ma è musicalmente difficile.
«Bisogna che i due mondi si avvicinino un po' e che l'educazione migliori, soprattutto in Italia: non abbiamo l'educazione musicale obbligatoria nelle scuole, come hanno invece tutti i paesi civilizzati. Però è anche vero che i compositori devono fare lo sforzo di farsi comprendere, non c'è alternativa».
FOTO MICHELE CROSERA
nr. 38 anno XV del 23 ottobre 2010