NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Il filosofo Franco Volpi scomparso un anno e mezzo fa, rievocato in un libro dell’amico giornalista Antonio Gnoli

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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FRANCO VOLPI

Schopenhauer e Nietzsche

Dopo la trentennale frequenza con Heidegger, che aveva dato gli ultimi colpi definitivi a ogni forma di metafisica, Volpi ebbe altri due idoli: Schopenhauer e Nietzsche che costituirono il suo vero sfondo mentale. Il suo dilemma era: nello scontro fra mondo moderno e tradizione da che parte bisognava schierarsi? Volpi diffidava di certe superstizioni che la mentalità occidentale aveva diffuso. Era consapevole che la nozione di progresso, di ragione, di calcolo, di individuo avevano fiaccato in modo irrimediabile la tenuta della tradizione. Era come se, privandosi di quell'autorevole aura, il mondo contemporaneo fosse piombato in una pragmatica oscurità. Volpi avvertiva in forma acuta il rimpianto di ciò che si era perduto; ma al tempo stesso giudicava grottesche certe nostalgie per il passato. Si trovava sul difficile crinale non come colui che deve scegliere con chi schierarsi, ma come chi cerca di vivere degnamente entrambe le esperienze. Pensava che il filosofo, alla fin fine, fosse un inetto, e la filosofia non offrisse soluzioni ai problemi, ma ci aiutasse a viverli con più consapevolezza. Poteva bastare? Poteva accontentarsi? Molte cose che Volpi ha realizzato nel corso degli anni mostrano sia il volto della potenza del pensiero, sia la precarietà della sua situazione. Egli ne fu talmente conscio da privilegiare una sovversiva neutralità sul mondo.

 

Un filosofo sans papier

Una drammatica concatenazione di eventi stroncò la vita del filosofo: l'incidente mortale sulla bici. Il trasporto in ospedale. Il coma. Non aveva documenti con sé. Per molte ore non fu possibile dargli un nome. Gnoli cita questo dettaglio perché gli torna in mente una sua frase: «Sono un filosofo san papier». Quando il giornalista di Repubblica si incontrava con lui, lo vedeva arrivare con uno zaino a tracolla, la borsa del computer e l'inconfondibile cappello da baseball sulla testa. Vestiva con quella trascuratezza che era semplicità. Gli piaceva la montagna. Amava sciare, come Heidegger che era stato una parte fondamentale della sua vita. E dal quale, non senza sofferenza, stava prendendo congedo. Lo annunciò in quella introduzione ai Beiträge, che per divieto del figlio di Heidegger Hermann, non vide mai la luce: «Per avventurarsi troppo in là nel mare dell'Essere, il pensiero di Heidegger va a fondo. Ma come quando a inabissarsi è un grande bastimento, lo spettacolo che si offre alla vista è sublime». Volpi scrivendo quella frase certamente pensava alla tragedia del Titanic, a quella scena del naufragio in cui la potenza della tecnica si capovolge nel suo contrario. Ne aveva parlato nelle sue conversazioni con Hans-Georg Gadamer a Ziegelhausen, un sobborgo di Heidelberg, dove il filosofo abitava.

 

I morti ritornano

«La caratteristica assolutamente definitiva dei morti è la loro assenza. Ma essi ritornano sotto altra forma, come un debito che abbiamo contratto con la loro vita che si è chiusa. La grandezza di Volpi - scrive Gnoli - risiedeva nella capacità di non darsi confini e di essere diventato a suo modo una figura globale. Lo era in quello che aveva realizzato e nelle persone che aveva conosciuto, nelle cose che aveva visto in giro per il mondo. Fu instancabile, come se presentisse che la sua vita sarebbe durata poco. La sua vita oscillò tra la curiosità e la discrezione. Non era un uomo di primi piani. Sapeva ritirarsi, come quegli animali che fiutano il pericolo del presente e se ne allontanano. Ma poi, spinti da una necessità interiore, ricominciano la perlustrazione del territorio. Nel disgregarsi dell'ambiente sono essi i più fidi testimoni dell'esistente. Vanno avanti per la loro strada fino alla fine».

 

nr. 39 anno XV del 30 ottobre 2010

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