NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Dopo il diluvio

di Pietro Rossi

facebookStampa la pagina invia la pagina

Dopo il diluvio

«Il Fax è arrivato a Comune chiuso. E comunque, controllare un sito ogni 4 ore non vuol dire essere in sicurezza», è stata la replica di Marcello Vezzaro. Il sindaco di Caldogno racconta di aver chiamato ripetutamente la prefettura, il giorno dell'alluvione, e di aver ricevuto risposta solo alle 10 e 30: «Gli aiuti sono arrivati solo alle 11, in piena criticità».

A Vicenza, invece, Variati appronta una sua unità di osservazione del Bacchiglione a partire dalla serata di domenica, con l'acqua già a livello di allerta, a 4,50 metri. L'allarme scatta alle 20 e 30 e le macchine dei vigili iniziano a girare per le strade - suonando campanelli e con diffusori acustici - per avvertire la popolazione del rischio di esondazione. Lo fanno però solo nei punti nevralgici, quelli più vicini ai ponti, come ad esempio a Santa Lucia. «Ho visto il fiume alzarsi, ma non ho avuto quella sensazione che esondasse, sennò avrei mandato le macchine dappertutto - confesserà il sindaco di Vicenza davanti alle telecamere - e con queste carte dell'Arpav di certo non avevamo la sensazione di un evento così disastroso».

Il "prima". Lì la macchina della prevenzione ha mostrato le sue lacune. Sul presente, vale a dire i risarcimenti e la ricostruzione, è già scattata l'azione politica e della solidarietà. Il Comune ha aperto un conto corrente (IBAN: IT57C0572811810010570747633, Banca Popolare di Vicenza Filiale di Contrà Porti, 12, causale: Fondo alluvione Novembre 2010, Città di Vicenza), banche e privati sono arrivati a dare una mano. La stima dei danni parla di più di 150 milioni di euro solo per la città, ed il Governo sembra aver già assicurato l'invio dei primi 20 milioni. Il bollettino della calamità, messo a punto dagli uffici comunali, recita: 8.822 residenti, 4191 famiglie, 1925 edifici, 224 negozi, 61 pubblici esercizi, 250 uffici, 139 tra industrie, magazzini, officine, 43 laboratori artigianali, 7 strutture sanitarie, 2 farmacie, 4 scuole, 10 servizi pubblici, 16 strutture sportive, 7 distributori, 10 edifici religiosi, 13 monumenti. La domanda appare quasi retorica: si poteva intervenire prima? «Ci sono dei danni che forse si potevano evitare - ha risposto Variati - sull'acqua e gli acquedotti, tra Ato, Consorzio di Bonifica, Genio, Protezione Civile e Comune, la filiera è troppo lunga, dobbiamo ridurla». «No al fatalismo», ha aggiunto, intendendo che la cosa non deve ripetersi. La cronaca di quei giorni lascia però intendere che lui e la città abbiano un po' vissuto quei momenti con la speranza che il Bacchiglione non facesse scherzi.

«In effetti non credo fosse prevedibile un disastro di tale entità, anche se segnali di crisi, negli ultimi anni, erano arrivati in modo ripetuto», ha aggiunto Corò. Anche per il presidente dell'Ato il problema sta nel fatto che ci sono "troppi enti poco coordinati". E allora che fare? Le idee ci sono. E, almeno per quanto riguarda, l'allerta della popolazione e i primi interventi, basta guardare i nostri vicini. A Venezia, ad esempio, città amalgamata con le acque, dove usano gli Sms per avvisare di eventuali pericoli. Sugli interventi strutturali, invece, il diktat è lavorare per il futuro. «Bisogna riconoscere - spiega Corò - che intervenire per prevenire o ridurre il rischio idraulico significa intervenire a lungo termine. Un amministratore agisce oggi per salvare la faccia del suo successore. Ed in questo c'è un ruolo importante della cultura e della comunicazione, perché la riorganizzazione deve partire da questo: l'appello è di costruire una cultura generale sull'acqua».

Parole difficili da contraddire. In quei giorni tutti hanno visto quell'acqua salire, qualcuno l'ha addirittura previsto. Un solo giorno di pioggia ha piegato una città patrimonio dell'Unesco, situata nel nord-est ricco e industrializzato. Tutti hanno visto l'acqua salire, nessuno se l'aspettava. Ed è venuta fuori un'alluvione simile a quella del 1882, più di quella del 1966. In quelle epoche ormai lontane, in quel Veneto povero e rurale, il "fatalismo" era quasi inevitabile. Oggi dovrebbe essere inevitabile il fatto che non ci sia.

 

(contributo foto Giorgio Hüllweck)

 

nr. 40 anno XV del 6 novembre 2010

« ritorna

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar