NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Ricordando “l’acqua” di 44 anni fa

Il viaggio di un cronista dalla città a Pedemonte tra fango, rotolini fotografici e un elicottero

di Giuseppe Brugnoli

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Alluvione 1966

Era di venerdì, il 4 novembre 1966, e siccome era festa nazionale, in cui si doveva celebrare solennemente il centenario del ritorno del Veneto all'Italia, molti ne avevano approfittato per aggiungere questa giornata festiva al sabato e alla domenica, e fare quello che non era ancora stato chiamato un week-end. Ma non era questa la ragione per cui c'era così poca gente in piazza dei Signori, per la cerimonia commemorativa del 4 novembre, festa delle Forze armate. Pioveva di una pioggia fitta e senza variazioni, con una cortina uniforme d'acqua che scendeva senza un filo di vento, così che, al di là dei comandanti, un drappello di soldati impalati e imbevuti d'acqua fino ai piedi, due carabinieri in alta uniforme che ad ogni movimento del capo versavano pioggia dalla lanterna d'ordinanza, il sindaco Giorgio Sala che si stringeva in un impermeabilino piccolo anche per lui, mentre un funzionario comunale gli teneva un ombrello a proteggere la testa, un paio di alti ufficiali impettiti come se neppure piovesse, non c'era proprio nessuno ad osservare il sindaco mentre deponeva sveltamente la corona d'alloro ai piedi della lapide, e tutti si ritiravano sotto il portico della Basilica.

Non c'era nessuno neppure nel breve viaggio da piazza dei Signori al giornale, che allora era in via San Marco, in un vecchio stabile dietro Palazzo Folco sede della Questura. Ma adesso, mentre d'un colpo si spegneva l'illuminazione stradale lungo contrà Porti, rabbiose raffiche di un vento caldo che creava turbini negli angoli delle case percuotevano muri, portoni e finestre traendone lamenti che parevano umani, e non c'era più modo di ripararsi dalla furia degli scrosci di pioggia. In un riverbero quasi spettrale, mentre la luce del giorno calava rapidamente sotto un cielo basso e cupo, l'unico accenno di vita era il lampeggiare rosso di un'autopompa dei vigili del fuoco, subito dopo il ponte Pusterla sulla cui carreggiata cominciava a correre l'acqua del Bacchiglione che entrava dai pertugi praticati nelle spallette per far uscire la pioggia. Via Chioare era chiusa, e il Bacchiglione fuoriuscito da ponte degli Angeli aveva già invaso piazza Araceli e le strade adiacenti. Davanti al grande condominio Astichello, da poco terminato, il fiume ribolliva lambendo velocemente l'ingresso, che di solito era alto un paio di metri sul fiume. Ad un tratto, tutte le luci del condominio si spensero, e non si sentì neppure più il fragore delle pompe che stavano estraendo l'acqua penetrata nel grande garage sotterraneo.

Gran parte delle automobili erano già state portate fuori durante la giornata, perché il Bacchiglione che fronteggiava le costruzioni, e i due rami dell'Astichello che uscendo dal Giardino Querini le fiancheggiavano, erano sempre più gonfi e ormai la corrente stava sciabordando nel giardino. Ci volle solo qualche minuto, per far salire le ultime macchine, mentre il salvataggio di altre fu impedito dai vigili del fuoco, e in pochi secondi una cascata fragorosa riempi l'ampio vano sotterraneo. Nella vicinissima sede del giornale, frattanto, tipografi, giornalisti e qualche volontario tra quanti erano usciti per osservare la piena trasbordante del Bacchiglione, stavano ammassando sacchetti di sabbia scaricati da un camion dei vigili del fuoco per bloccare le entrate. La più pericolosa era quella della tipografia, dove fin dal pomeriggio erano in azione le linotypes, ma l'acqua che ormai lambiva il grande scalino dell'ingresso sembrava fermarsi, quasi intimorita. L'accordo con i vigili del fuoco era che, appena i primi rivoli si fossero fatti strada nello stanzone, si sarebbe spento tutto, perché diventava troppo pericoloso il contatto con le macchine alimentate elettricamente.

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