NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Ricordando “l’acqua” di 44 anni fa

di Giuseppe Brugnoli

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Alluvione 1966

Invece l'acqua dell'Astichello, che, respinta dal Bacchiglione in piena, aveva invaso ormai il cortiletto interno e la strada che portava alla tipografia, non salì ulteriormente, e si poté spedire alla lontana rotativa le lastre di piombo delle pagine per il giornale del giorno dopo. Intanto, nel vicino condominio, gli abitanti rimasti al buio e al freddo avevano recuperato nella sacrestia della vicina chiesa di San Marco un pacco di esili candeline dette "della Seriola", avanzo di quelle distribuite in febbraio all'inizio della quaresima, e a quell'esile tremolante luce si erano ficcati sotto le coperte, mentre il mugghiare del fiume in piena diventava sempre più minaccioso.

Fu una notte agitata e piena di paure, ma quando tornò il giorno, con un pallido sole che si faceva strada faticosamente tra nubi nere e cariche di tempesta, la modesta casetta del giornale, circondata d'acqua torbida da tutti i lati, era ancora in piedi. Brutte notizie erano venute nella notte da tutta la parte nord della provincia, specialmente da Bassano, dove il Brenta aveva assalito e percosso i paesi di tutta la valle, e dalla valle dell'Astico, enormemente ingrossato e uscito dal suo letto in tutta la sua parte alta. Al giovane collega Gianmauro Anni toccò la spedizione nel Bassanese, a chi scrive queste righe di andare fin dove si poteva raggiungere il punto del disastro nella vallata dell'Astico. Partimmo pieni di speranze con il fotografo, ma subito dopo Thiene fummo fermati da un posto di blocco della Stradale. Non si poteva andare più avanti se non a piedi, cosa che cominciammo a fare con buona volontà. La strada non c'era più, completamente mangiata dall'alluvione, che aveva lasciato una distesa di sassi e massi, sui quali era malagevole camminare, e nella quale non si distingueva più il letto del torrente, diventato larghissimo, a ricoprire tutto il fondovalle. Intanto era ricominciato a piovere, e saltando di sasso in sasso, o da un mucchio all'altro di erba e terra che l'esondazione aveva strappato ai prati e ai campi, si sentiva rumoreggiare sordamente la corrente del fiume che era diventato sotterraneo. Cammina cammina, non si trovava nessuno, e in una locanda che ancora mostrava la sua insegna poco sopra la grande sassaia, e alla quale ci eravamo rivolti speranzosi di trovar qualcosa da mangiare, una donna, dopo averci mostrato i locali completamente vuoti perché la furia dell'acqua aveva asportato tutto, porte e finestre comprese, ci elargì qualche tozzo di pane raffermo, scusandosi: «Non mi è rimasto altro». Cammina cammina, arrivammo a San Pietro Valdastico, dove il fiume era tornato in superficie, e correva vorticosamente minacciando in un'ansa una superstite casa ancora indenne, una grande casa bianca di tre piani, che veniva colpita violentemente dalle ondate, mentre una piccola folla assisteva silenziosa allo spettacolo. Ci mettemmo anche noi ad attendere, perché il crollo sembrava imminente, e intanto fummo avvicinati da un giovanotto cortese, che ci assicurò che, dopo, avrebbe provveduto a farci accompagnare. Sapemmo successivamente che era il sindaco di Pedemonte, l'ultimo paese in fondo alla vallata, e che si chiamava Danilo Longhi. Poi, mentre il fiume rabbiosamente stava dando le ultime spallate alla casa pericolante, arrivò fragorosamente un elicottero, che atterrò proprio davanti a noi, togliendoci la vista della casa che rovinava. Ne discese l'onorevole Mariano Rumor, che allora era segretario nazionale della DC, accompagnato da un inviato de "Il Gazzettino" con il fotografo Bebè Sandrini, il quale colse al volo l'attimo del crollo. Gli demmo i rotolini delle nostre fotografie, da portare a Vicenza, e riprendemmo la strada a piedi verso Pedemonte.

 

nr. 41 anno XV del 13 novembre 2010

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