Dopo la morte avvenuta il 16 giungo 2008, l'Associazione Erma Museo Murer di Falcade ha ricordato, con uno splendido volume, Mario Rigoni Stern, «l'uomo di scrittura, l'uomo di memoria, l'uomo di montagna, l'uomo di natura, l'uomo di insegnamento, l'uomo». Il volume è frutto della collaborazione degli amici Fernando Camon, Fernando Bandini, Francesco Jori, Andrea Zanzotto, Elio Armano. Il libro presenta alcune immagini delle incisioni, realizzate da Augusto Murer, della ritirata di Russia, ispirate al "Sergente nella neve", e raccolte in una cartella dal titolo "Ghe rivarem a baita?" con testi di Rigoni Stern. «Rigoni Stern - scrive Sveva Murer - nel suo cammino ci ha reso ben evidenti non solo i colori, ma soprattutto le immense sfumature che la vita riserva ad ognuno di noi dove l'uomo è comunque sempre il protagonista principale, nel bene e nel male, e l'ambiente è parte integrante dell'uomo, delle sue scelte e delle sue conoscenze. Le vite dei due uomini Rigoni Stern e Murer sono speculari e sono unite da un unicum rappresentato dal rispetto per la vita, l'elevato senso di giustizia civica, il rispetto delle regole, valori questi che sono stati tramandati attraverso gli scritti o le immagini cui i giovani dovrebbero rivolgersi con attenzione e rispetto, soprattutto in un mondo così tecnologico, ma poco spirituale, poco "umano". La famiglia Rigoni Stern scrive che Mario e Augusto si erano conosciuti negli anni Sessanta. Due montanari, che della montagna avevano conosciuto le asprezze e la bellezza, uno passato attraverso l'esperienza del partigianato, l'altro della guerra e dei lager, due anime che non avevano bisogno di tante parole per capirsi, per comunicare. Bastava loro uno sguardo, un gesto, una mano affettuosa su una scultura».
L'amore per la terra
«Mario amava le Georgiche di Virgilio - scrive Francesco Jori - che erano uno dei suoi libri preferiti. Nei versi del grande poeta latino Mario respirava l'odore della nuda terra, la sua ancestrale ambivalenza di madre e matrigna, il secolare rapporto con le mani dell'uomo. E lì, nel canto di Virgilio, ritrovava forse una matrice essenziale del suo Veneto, cui si sentiva intimamente e passionalmente legato: «Labor omnia vicit improbus, et duris urgens in rebus egestas» («tutto vince il faticoso lavoro e il bisogno che incalza nelle necessità»). Ogni ostacolo è vinto dal lavoro accanito e dal bisogno che preme sull'uomo nel corso delle aspre vicende dei giorni. La fatica ha sempre la meglio su tutto. Dalle Dolomiti alle lagune, intere generazioni hanno testimoniato la verità di questa lezione. E se un orgoglio hanno le genti venete, è quello di sentirsi definire "è un bravo lavoratore". Oggi si è perso il legame con la terra, come continua a dire Zanzotto: «In noi c'era una ri-conoscenza diretta per la terra salvatrice, che non serviva solo a darci sostentamento, ma aveva in sé anche i connotati di un rifugio. La sentivano davvero come "mater tellus", verso di lei avevano un attaccamento furibondo». Un sentimento che si è perduto nella devastazione del territorio, quella che lo stesso Zanzotto bolla come «la macchia lebbrosa che si sta dilatando».