NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Il messaggio di Mario Rigoni Stern rievocato dal Museo Murer di Falcade

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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Il messaggio di Mario Rigoni Stern rievocato dal M

Un impoverimento culturale

La appassionata denuncia di Rigoni Stern, Zanzotto e Meneghello è contro la distruzione del paesaggio che è prima di tutto un patrimonio interiore, come diceva Borges: «Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, di isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di idee traccia l'immagine del suo volto». Ma se davvero il paesaggio è uno specchio, allora l'impoverimento del paesaggio così vistoso nel Veneto di oggi è anche lo specchio di un impoverimento culturale. Aveva ragione Piovene a dire che le tante brutture edilizie di questo territorio sono state perpetrate sì per speculazione, ma soprattutto per mancanza di affetto e di amore verso i luoghi della memoria e delle radici. Giustamente dice Zanzotto che «il rapporto con il luogo e la terra dev'essere feroce ed esclusivo, come un innamoramento, altrimenti non possiamo capire niente né di noi, né della terra, né dell'ambiente, né dell'universo». Resta ancora la voce di Zanzotto, le altre di Rigoni Stern e di Meneghello sono state ridotte al silenzio dalla morte. Le loro voci sono state inascoltate dalla memoria corta degli uomini. Che invece andrebbe risvegliata, spingendola a ri-conoscere nell'ambiente che ci circonda la trama della nostra stessa identità, come spiegava Eugenio Turri, grande interprete del paesaggio veneto. Dove il legame con la terra è saldamente intrecciato con le radici fin dalle epoche più remote.

 

Una cultura solidaristica

Tutto questo si va sempre più rapidamente perdendo proprio perché, come avvertiva Rigoni Stern, si sono corrosi quei legami con la terra che riflettevano una cultura solidaristica: la terra come fonte di sostentamento (l'agricoltura), ma anche come luogo della socialità (il far filò, il mettere in comune sentimenti ed esperienze di vita). Siamo vittime di quello che Zanzotto ha definito un giorno, con uno dei suoi giochi verbali, "progresso scorsoio", nel quale «non so se vengo ingoiato, od ingoio». E che macina non solo territorio, ma anche sentimenti e passioni. Eppure è proprio lì, nelle zolle della "mater tellus", che stanno le autentiche radici dei veneti: una terra impastata di sudore e di sangue, non solo nella tragedia della prima guerra mondiale, combattuta su questo suolo e seminata di lutti e di dolori, dalle rocce delle montagne all'acqua dei fiumi, dal Grappa al Piave, ma anche ben più addietro nel tempo, nelle invasioni barbariche, nelle faide dei comuni, nelle battaglie fra signorie e casate, nelle intraprese belliche della Serenissima, nel feroce passaggio delle truppe francesi e austriache. La terra è stata bagnata col sangue, ma a quel sangue si è aggiunto ogni volta, e con esso si è mescolato, il sudore della ricostruzione, che attraverso la fatica del lavoro dell'uomo ha rimesso in gioco la storia.

 

Tre giorni sotto la neve

L'attaccamento alla terra è stato il messaggio di Mario e quando Paolo Rumiz lo incontrò per l'ultima volta scrisse: «Appena toccai la corteccia della sua mano sentii che non stava morendo, ma solo diventando bosco». Dobbiamo trovarla dentro di noi, quell'immagine e per fare questo abbiamo bisogno di silenzio. Quando la casa di Rigoni fu sommersa dalla neve per tre giorni, lui disse: «Fu magnifico. Ero felice, tranquillo, non c'era tv. I fiocchi cadevano senza rumore. Avevo legno, farina bianca, lardo, formaggio, e una storia da scrivere. Le finii al lume a petrolio». Era la "Storia di Tönle".

 

nr. 43 del 20 novembre 2010

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