Chi, durante la settimana, ha visto "Shylock, il Mercante di Venezia in prova" al teatro comunale di Vicenza può esserne uscito deluso. Lo è stato sicuramente se si aspettava l'ennesima riduzione teatrale del dramma di Shakespeare. Perché lo spettacolo pensato e messo in scena da Moni Ovadia e Roberto Andò è molto più di questo. È una lezione universitaria, un compito svolto che risponde alla domanda circa l'attualità universale del messaggio shakespeariano che presuppone una conoscenza approfondita del testo, che in alcuni casi si dà quasi per scontato, e una capacità linguistica e culturale di livello superiore. In questo senso ciò che quest'anno ha aperto la stagione di prosa in città è quanto di più universale si potesse pensare, anche se non universalmente accessibile.
Tutto ruota attorno al celeberrimo monologo di Shylock, l'ebreo, che risponde a chi gli chiede cosa se ne farà della libbra di carne che ha chiesto come pegno a fronte del prestito di tremila ducati, per tre mesi, al nobile veneziano Antonio. Ecco cosa risponde Shylock: «A farne esca per i pesci. Se essa non potrà alimentare altro, alimenterà per lo meno la mia vendetta. Egli mi ha vituperato, mi ha impedito di guadagnar mezzo milione, ha riso delle mie perdite, si è burlato dei miei guadagni, ha insultato il mio popolo, osteggiato i miei affari, ha raffreddato i miei amici, riscaldato i miei nemici. E per qual motivo? Sono un ebreo. Ma non ha occhi un ebreo? Non ha un ebreo mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni? Non si nutre degli stessi cibi, non è ferito dalle stesse armi, non è soggetto alle stesse malattie, non si cura con gli stessi rimedi, non è riscaldato e agghiacciato dallo stesso inverno e dalla stessa estate come lo è un cristiano? Se ci pungete, non facciamo sangue? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci oltraggiate, non dobbiamo vendicarci? Se siamo simili a voi in tutto il rimanente, vogliamo rassomigliarvi anche in questo. Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo, qual è la sua mansuetudine? La vendetta! Se un ebreo è oltraggiato da un cristiano, quale può essere, sull'esempio cristiano, la sua tolleranza? Ebbene, la vendetta! La malvagità che mi insegnate la metterò in opera, e sarà difficile che io non abbia a superare i maestri».
È questo il pensiero di fondo: quando Shakespeare scrive, calato nella sua epoca e nella sua società, l'ebreo è il male. Cacciati dall'Inghilterra, mandati via dalla Spagna, gli ebrei soffrono una condizione di pregiudizio radicale. Eppure in questo monologo Shylock rivendica la sua umanità, il suo essere uguale a tutti gli altri uomini. E non stupisca allora se per attualizzare il messaggio Moni Ovadia fa recitare lo stesso monologo a chi, nel 1945, può nuovamente essere considerato il male assoluto, Adolf Hitler e non stupisca se poco dopo lo stesso monologo finisce in bocca allo zingaro, il reietto del nostro tempo, nuovamente sgomberato dai sobborghi delle nostre città. E allora eccolo il messaggio, di nuovo e sempre: attenti a trovare il nemico, il male assoluto, il terrorista o il fondamentalista di turno. Perché anche il peggiore degli uomini, alla fine, potrebbe ribattere recitando il monologo di Shylock, rivendicando la sua appartenenza al genere umano. «L'umanità si salva tutta insieme - conclude Moni Ovadia sul palco - o tutta insieme sarà per sempre dannata!».