Lo spettacolo andato in scena al Comunale vive comunque su molti piani. Una cornice narrativa che è costruita sul modello del "making-of", il dietro le quinte, la prova per la messa in scena voluta dal "maestro", regista che insegue il sogno della sua vita, la rappresentazione perfetta del Mercante di Venezia. In questa cornice entrano, come è logico, riferimenti al presente, al nostro presente: un impresario che si offre di sovvenzionare lo spettacolo con tutti i soldi necessari, anche se l'origine delle sue fortune non è poi così chiara, un impresario che agisce, come l'Antonio di Shakespeare, per motivi che paiono nobili ma forse nascondono un doppio fine inconfessabile: un innamoramento omosessuale nei confronti di Bassanio; una impresentabile collezione di cuori umani. Una figura che, sfruttando anche sessualmente la bellezza femminile della ricca ereditiera Porzia, la presenta come la nipote di un dignitario egiziano. A voi trovare le corrispondenze con la cronaca e il gossip di questi giorni!
Una lezione sull'attualità di Shakespeare, dicevamo. Una lezione alla quale Moni Ovadia fa partecipare Shel Shapiro, pioniere della musica rock in Europa, fra i padri della canzone italiana degli anni Sessanta. Shel Shapiro, in questo spettacolo è la Musica. Non solo perché canta davvero una eccezionale "cover" dei Queen, "Who wants to live forever" dalla colonna sonora del film anni '80 dove schiere di immortali si affrontavano a colpi di spada, attraverso i secoli, con l'obiettivo di tagliarsi la testa uno con l'altro fino a quando di loro non fosse rimasto che un unico esemplare. Shel Shapiro serve a Moni Ovadia per farci sentire la musica di Shakespeare, la sua lingua inglese, il tono e l'armonia di una lingua che può essere validamente tradotta, ma che suona in un certo modo solo se letta e interpretata in lingua originale. E sul muro comunque scorrono i sottotitoli e la comprensione è assicurata. «Chi vuole vivere per sempre - canta Shel Shapiro, Shylock da sempre - chi si azzarderà a vivere per sempre se l'amore deve morire?». Shylock porta sulle spalle il peso e la fatica di essere perseguitato da sempre, di essere l'anima nera della società da sempre, di essere privo di rispetto e di amore, da sempre.
La chiusura del dramma, in Shakespeare, è un escamotage consolatorio. Il cristiano Antonio, che pure non riesce a pagare il suo debito dal momento che le sue navi sono naufragate, dovrebbe essere chiamato a pagare almeno il suo pegno. Dovrebbe consegnare la libbra di carne richiesta e Shylock dovrebbe avere la sua giustizia. Ma Porzia, travestita da avvocato, trova la via d'uscita. Shylock vuole la sua libbra? La prenda, ma non un ventesimo di grammo in più, non una goccia di sangue, altrimenti sarà lui ad essere ucciso. E visto che ha tramato contro la sicurezza di un cittadino Veneziano, i suoi beni potranno essere confiscati e lui stesso messo a morte. Lo Shylock della tradizione, sconfitto e umiliato davanti al doge al quale aveva chiesto giustizia, ottenendo scorno, chiude così: «Vi prego, permettetemi di andar via di qua. Non mi sento bene. Mandatemi a casa l'atto, e lo firmerò».
Moni Ovadia non ribalta questa conclusione, ma la contesta, si oppone. Finisce ucciso o pazzo. «Ma a cosa è servito?», chiede Shapiro-Shylock.
«A nulla», risponde Ovadia-Shylock. E una risata folle chiude il sipario.
nr. 43 anno XV del 27 novembre 2010