NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Lo “Sghiratto” ritorna in una mostra sulle nobildonne del ‘500 a palazzo Thiene

di Resy Amaglio

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Lo “Sghirotto” ritorna in una mostra sulle nobildo

Sottile motivo dominante dell'esposizione appare "la nobildonna", che comunica dignità e sicurezza sociale anche attraverso la lussuosa, ma morigerata, bellezza delle vesti, la sofisticata perfetta leggerezza degli ornamenti.

L'abito di Livia di Belgioioso è stupendo e tuttavia di rattenuto sfarzo, quale si addiceva a una dama di rango, esemplare per nobiltà d'animo non meno che di censo. Sono anni nei quali una rinnovata sobrietà dei costumi si fa strada in quelle corti italiane che guardano, di necessità, agli imperativi comportamentali di derivazione spagnola; né va peraltro taciuto come anche nell'indipendente Venezia esistessero al tempo norme precise che vietavano gli eccessi di molti abbigliamenti sontuosi, pur rifiutando la Serenissima certe mode maschili lugubri, in tono con l'atmosfera dell'Escurial.

I gioielli si connotano per la peculiare finezza, chiaramente leggibile nei vari ritratti di contorno a quello che ha dato spunto alla mostra. E tra gli accessori pregiati, lieve fil rouge che accomuna le dame è lo sghiratto, pelliccia-gioiello su cui il curatore e Chiara Rigoni tessono in catalogo ampie e approfondite spiegazioni. Lo strano vocabolo di complicata genesi indica la pelle intera, in genere di zibellino, portata sulla spalla o sul braccio, con il capo trasformato in monile di estrema raffinata ricchezza; spesso copia enfatizzata del cranio dell'animale, questo può venire realizzato in oro, smalti, o perfino in cristallo di rocca, e sempre tempestato di perle e pietre preziose. Sulla veste della contessa di Sala ne spicca uno magnifico e magnificamente reso dai tocchi di luce con cui il pennello dà singolare risalto alla superficie metallica lavorata a sbalzo; lo si ammira qui mollemente allacciato alla catena che funge da cintura, opera anch'essa di oreficeria magistralmente ripresa dall'artista.

Moda, feticcio e segno distintivo, curiosamente lo sghiratto rappresenta l'antenato lussuoso delle pelli, preferibilmente di volpe, che circa quattro secoli più tardi le signore usano indossare, ancora all'antica maniera: un vezzo oscuramente traghettato dal sedicesimo al ventesimo secolo a complemento di uno stile ormai imborghesito, che il secondo conflitto mondiale travolge e affonda nell'oblio.

Quanto ad Anna Leonora, il suo abbigliamento, in versione doverosamente semplificata, è speculare a quello della madre, rigido, elaborato secondo canoni di eleganza infantile severi e certo inaccettabili ai nostri occhi. La ritroviamo poi nel delicato ritratto di Gerolamo Mazzola Bedoli, deliziosa bimbetta costretta in uno splendido abitone di velluto. Circondata da citazioni simboliche, la piccola si presenta compunta, lo sguardo serio, mentre nemmeno l'ombra di una qualsiasi allegria sfiora le labbra di cui negli anni felici il Tasso canterà la rosea seducente tenerezza.

Si apprende dallo scritto di Gasparotto che il dipinto, conservato alla Galleria Nazionale di Parma, venne confiscato presso la Rocca di Sala nel 1612, pochi mesi dopo che la "Gran Giustizia" aveva saldato i conti con la congiura dei feudatari locali contro Ranuccio I Farnese. Sulla piazza Maggiore di Parma caddero allora le teste di numerosi nobili, compresa,-orrenda fine per la donna dalla straordinaria trascorsa bellezza, quella dell'ormai più che sessantenne Barbara Sanseverino.

Dall'infanzia alla maturità, le gentildonne convocate per la mostra, ritratte da maestri quali Moroni o Brusasorzi, formano un piccolo mosaico di sapienza pittorica, aprendo nel contempo la via a riflessioni sulla storia di un passato rinverdito per l'occasione, illustre, ricco e "padano", probabilmente ignorato da molta provincia contemporanea.

Completano l'esposizione, corredata anche di catalogo, alcune opere in tessuto e merletto, gradevole richiamo ad un gusto che nella pittura rinascimentale e manierista trova non di rado felice riscontro.

Di sicuro impatto è infine l'allestimento curato da Mauro Zocchetta, non esente da qualche artificio e da una voluta teatralità, come l'inserimento dello specchio che moltiplica le immagini, a ripetere l'incantesimo della bella pittura. Leggermente pompier, ma accattivante.

 

nr. 46 anno XV del 18 dicembre 2010

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