NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Conferenza sul dialetto come lingua della poesia e della vita degli umili

È stata tenuta dalla prof.ssa Maria Teresa Bompani, presidente dell’Associazione Dante Alighieri, su invito del Cenacolo dei Poeti Dialettali, ed ha percorso la storia della lirica veneta

di Gianni Giolo
giovanni.giolo@tiscali.it

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Conferenza sul dialetto come lingua della poesia e

"Il dialetto come lingua della poesia e della vita degli umili". È una interessantissima e informatissima conferenza che la prof. Maria Teresa Bompani, presidente dell'Associazione Dante Alighieri, ha tenuto alla Biblioteca Internazionale La Vigna, invitata dal "Cenacolo dei poeti dialettali". La conferenza percorre tutta la storia della poesia veneta da Angelo Beolco, detto il Ruzante, a Fernando Bandini. La Bompani ha cominciato ricordando la figura di Manlio Cortelazzo, docente di dialettologia dell'Università di Padova, dal 1967 al 1989, direttore del centro di dialettologia italiana del CNR, direttore dell'Atlante Linguistico-letterario della Fondazione Cini, membro dell'Accademia Olimpica. L'illustre studioso soleva dire di sé che «la sorte ha voluto che assistessi al rapido, anche se nel Veneto meno veloce, tramonto delle parlate dialettali, che prelude alla loro estinzione, sia pure non così prossima come alcuni paventano. Per questo mi sono sentito investito del compito di recuperare non l'uso del dialetto, impresa che andrebbe contro la storia, ma la conservazione delle sue ultime tracce, ancora molto cospicue. Non si tratta di conservare per i posteri un materiale inerte, ma una documentazione depositata di modi dialettali, del giudizio sulle vicende storico-sociali delle età trascorse, che la gente umile non era in grado di affidare alle scritture». Il dialetto è - secondo il Cortelazzo - il mezzo più efficace per descrivere le condizioni di vita delle classi inferiori. È sempre stato così. Quando nel ‘500 con Pietro Bembo ci fu la codificazione del fiorentino trecentesco, come canone della lingua e letteratura nazionale, nacque una letteratura dialettale non più spontanea, ma riflessa, cioè consapevole di una opposizione, in vario modo intesa, con la poesia in lingua.

Il teatro di Ruzante

In Ruzante il dialetto serve a presentare la vicenda di un villano partito in guerra per far bottino, che ritorna più miserabile di prima e viene disprezzato perfino dalla Gnua, la sua donna, che alle dichiarazioni di amore e di lealtà del reduce risponde con spietata indifferenza: di lui, ritornato dalla guerra più povero di prima non sa che farsene. Questa la poesia del Ruzante, poesia che sorge, spontanea, senza intenzione, né di caricatura né di parodia, ma con un'attenzione particolare una realtà amara, ritratta con una vena schietta, a volte impietosa. Da Ruzante a Goldoni, che riformò la commedia dell'arte, improvvisata e ridanciana, fondata su un canovaccio puramente indicativo che dava libera espressione alla inventività, scrivendo prima le parti dei protagonisti e poi tutta la commedia, usando un dialetto letterariamente elaborato, per schizzare caratteri, descrivere ambienti, mescolandolo a un italiano non purissimo. Dal Goldoni al Baffo, la cui opera non fu ristampata per circa 150 anni, per il suo contenuto osceno, con cui pare volesse documentare la grande corruzione del ‘700 veneziano. I sonetti provocatori e scanzonati sulle donne sono anche oggetto degli epigrammi del Pozzobon, un trevigiano del 1700 autore di lunari e almanacchi. Dal Pozzobon al Buratti, vissuto a cavallo fra il ‘700 e l'800, che scrisse versi brevi che si prestavano a essere musicati. Famosa anche la composizione di Lamberti, autore di tre volumi di poesie, tra cui "Le stagioni", "la gondoleta", musicata dal tedesco Mayer a tempo di valzer. Vivaci e briosi i ditirambi del padovano Pastò dedicati alla polenta e al vino: «Fra tante bele cosse / che natura al mortal dispensa e dona, / la prima, la magior, la più ecelente, / che non la cede e gente / e che superba va per ogni logo, / perché tuti la vol, tuti la brama, / onorada da tuti / qual celeste regalo soprafin, / che ‘l cuor uman consola, / son certo, né m'ingano, lu xe ‘l vin». Dal Pastò al Bonfio, da Cucchetti al Flucco, da Sarfatti al Padovan, dal Padovan al Lanza, fin al più grande poeta dialettale veneto che fu il veronese Barbarani, che tradusse in dialetto veneto il Romeo e Giulietta di Shakespeare.

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