Il teatro di Ruzante
In Ruzante il dialetto serve a presentare la vicenda di un villano partito in guerra per far bottino, che ritorna più miserabile di prima e viene disprezzato perfino dalla Gnua, la sua donna, che alle dichiarazioni di amore e di lealtà del reduce risponde con spietata indifferenza: di lui, ritornato dalla guerra più povero di prima non sa che farsene. Questa la poesia del Ruzante, poesia che sorge, spontanea, senza intenzione, né di caricatura né di parodia, ma con un'attenzione particolare una realtà amara, ritratta con una vena schietta, a volte impietosa. Da Ruzante a Goldoni, che riformò la commedia dell'arte, improvvisata e ridanciana, fondata su un canovaccio puramente indicativo che dava libera espressione alla inventività, scrivendo prima le parti dei protagonisti e poi tutta la commedia, usando un dialetto letterariamente elaborato, per schizzare caratteri, descrivere ambienti, mescolandolo a un italiano non purissimo. Dal Goldoni al Baffo, la cui opera non fu ristampata per circa 150 anni, per il suo contenuto osceno, con cui pare volesse documentare la grande corruzione del ‘700 veneziano. I sonetti provocatori e scanzonati sulle donne sono anche oggetto degli epigrammi del Pozzobon, un trevigiano del 1700 autore di lunari e almanacchi. Dal Pozzobon al Buratti, vissuto a cavallo fra il ‘700 e l'800, che scrisse versi brevi che si prestavano a essere musicati. Famosa anche la composizione di Lamberti, autore di tre volumi di poesie, tra cui "Le stagioni", "la gondoleta", musicata dal tedesco Mayer a tempo di valzer. Vivaci e briosi i ditirambi del padovano Pastò dedicati alla polenta e al vino: «Fra tante bele cosse / che natura al mortal dispensa e dona, / la prima, la magior, la più ecelente, / che non la cede e gente / e che superba va per ogni logo, / perché tuti la vol, tuti la brama, / onorada da tuti / qual celeste regalo soprafin, / che ‘l cuor uman consola, / son certo, né m'ingano, lu xe ‘l vin». Dal Pastò al Bonfio, da Cucchetti al Flucco, da Sarfatti al Padovan, dal Padovan al Lanza, fin al più grande poeta dialettale veneto che fu il veronese Barbarani, che tradusse in dialetto veneto il Romeo e Giulietta di Shakespeare.