NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Quella lattina sul cranio di Bonimba

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Quella lattina sul cranio di Bonimba

Con la pizza in gola, cercando di capire "quel dramma"


Pizze focacce e Coca Cola: il posto migliore davanti alla televisione che allora era solo e rigorosamente in bianco e nero, e le pulsazioni che salgono e scendono a seconda se la palla si avvicina alla porta di chi...

Ce li vedete oggi tre o quattro liceali tutti assieme e organizzati così, senza una sigaretta, senza una pastiglietta, senza nemmeno un'amica del cuore, senza nient'altro che la carica della passione sportiva, o se preferite la passione del tifoso? Eppure Luigi Maria Prisco, figlio dello scomparso decano dei dirigenti interisti, l'avvocato Peppino, ricorda quella serata con lo stesso slancio rapito di allora. Un evento sportivo fuori genere, senza precedenti, dentro cui entrò alla fine un confronto fatto di tre partite, la prima annullata dopo che la commissione disciplinare UEFA, mezza strangolata da un regolamento senza troppe lungimiranze, dovette prendersi la responsabilità della ripetizione a costo di una lunghissima e travagliata seduta che tolse a tavolino quanto il Borussia (7-1) aveva maturato sul campo dopo l'uscita traumatica di Boninsegna ferito alla testa da una lattina di Coca Cola.

Stefano Tomasoni cattura chi legge questo suo libro proprio partendo da Boninsegna, ma non dal Boninsegna nel momento di beccarsi in testa la lattina, bensì dal Boninsegna che a quel lancio vendicatore quanto disgraziato mise le premesse nello stadio Atzeka di Mexico City, quando scappando lungo la laterale mise al centro quel pallone assassino che il piede di seta di Gianni Rivera deviò in porta siglando il 4 a 3 per l'Italia della semifinale con la Germania. Tre giorni dopo l'Italia avrebbe beccato 4 a 1 nella finale col Brasile di Pelè, ma siamo sinceri: a quanti bruciò perdere il mondiale? In quanti è rimasto invece molto più vivido il ricordo del 4 a 3?

È la storia del confronto senza fine che Italia e Germania giocano da decenni, per non dire da secoli se teniamo conto di quale bel precedente (Barbarossa, i Lurchi di Giusti, l'esercito che «risale disordinatamente le valli prima discese con orgogliosa sicurezza» e via citando...). È la storia che non senza malizia Tomasoni riacciuffa con l'efficacia del linguaggio della cronaca per spiegare anche come e perché Boninsegna fece da bersaglio a qualche poco sopita voglia di vendetta. Perché era proprio lui uno dei più forti e determinanti protagonisti del precedente messicano mai digerito dai tedeschi e ancora oggi oggetto di culto vero e proprio in documentari e film storici del calcio.

L'esca di Tomasoni scrittore e cronista di quell'avvenimento di Moenchengladbach (250mila abitanti, vicina a Dortmund ma anche al confine olandese) viene raccolta senza esitazioni da Luigi Maria Prisco, diretta parte in causa per questioni di cuore e di famiglia con le vicende nerazzurre, che rivede quella serata indimenticabile dalla sua prospettiva, l'orizzonte di un liceale a un anno dalla maturità classica, lo sguardo di un ragazzo che oggi ricorda se stesso e tutto il resto attraverso la lente poco dubitabile di un amore senza fine, quello per l'Inter.

«Leggendo le bozze del libro di Stefano Tomasoni - spiega Prisco nella sua presentazione - sono tornato indietro di quasi quarant'anni, ho rivissuto i tempi per me eroici del calcio; ho ancora in mente i vecchi spogliatoi di San Siro, i posti di ciascun giocatore nello stanzone, le docce, la grande vasca con l'acqua calda, le borse, il lettino, l'odore di canfora dell'olio usato per i massaggi. Quanti cambiamenti ha avuto il calcio in 40 anni? Un'infinità...».

Quello di Luigi Maria Prisco è un vero e proprio soprassalto temporal-affettivo dentro un pozzo di ricordi indimenticabili. Quello di Stefano Tomasoni è d'altra parte l'ideale offerta perché quelle memorie si sviluppino, alla ricerca di avvenimenti e di questo in particolare, che davvero hanno segnato la storia del calcio italiano e per riflesso di quello internazionale.

Il racconto di Tomasoni di questa lattina di Coca Cola che disegna quella strana e inesorabile parabola fino a centrare il capoccione di Bonimba cosa fa se non scuotere dal profondo proprio quella memoria? È un bel racconto il quale tra gli altri pregi ha anche quello -probabilmente involontario- di disegnare alla fine un parallelo e un confronto tra la realtà di quel 1971 e la realtà di oggi. Tra squadre che tenevano il palcoscenico mondiale forti soltanto di undici uomini in capo e tre in panchina compreso il portiere e le multinazionali degli anni successivi trasformate sempre più in armate di mercenari superpagati e superviziati. Diciamo pure che è un bel tuffo all'indietro, quello proposto da questo libro, un tuffo che valeva la pena di pensare e mettere nero su bianco. Per quante difficoltà nasconda il trampolini, certi salti vanno fatti. Senza esitazioni.

nr. 47 anno XV del 25 dicembre 2010

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