NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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“Spes”: memorie di famiglia di un vicentino in Canada

Lo scrittore Vittorino Dal Cengio, originario di Novoledo e residente a Vancouver, racconta uno scorcio della sua vita a Villaverla tra il 1900 e il 1940 recuperando un antico lavoro del nonno

di Laura Campagnolo

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“Spes”: memorie di famiglia di un vicentino in Can

Scrittore originario di Novoledo, ma dal 1977 residente a Vancouver, in Canada, Vittorino Dal Cengio non ha mai dimenticato il suo paese natale, dove fa spesso ritorno. In Armonia Pastorale, edito nel 2008, l'autore coglie un segmento importante della sua giovinezza in Italia intorno ai primi anni Sessanta. Recentemente alla Fiera di Vicenza ha ricevuto dall'Ente Vicentini un riconoscimento per più di trent'anni di lavoro all'estero. Il suo ultimo libro Spes racconta , in cui racconta uno scorcio di vita a Villaverla tra il 1900 e il 1940, incrociando al manoscritto del nonno, già avviato nella raccolta delle memorie di famiglia, le testimonianze orali della madre e delle prozie.       

L'idea di mettere nero su bianco le memorie di famiglia proviene da un lavoro di recupero e catalogazione già iniziato da suo nonno. Si ricorda l'episodio in cui avvenne questo passaggio di testimone?

«Il passaggio di testimone avvenne durante un periodo di tempo molto esteso in quanto l'idea di trascrivere le memorie del nonno fu sempre presente nei recessi della mia mente. Volevo aiutarlo in qualche modo fin dal tempo in cui s'era messo a battere a macchina. La difficoltà maggiore arrivò con la sua morte, quando lasciò gli scritti incompleti. Pensai che una quarantina di pagine fossero insufficienti per un libro, mancavano gran parte dei periodi di guerra sul Carso e sull'Altopiano, anche se ce li aveva ampiamente descritti a voce raccontando le sue storie a tavola ognitalvolta ci fosse l'occasione di ritrovarci. Dopo aver curato nel 1979-80 la pubblicazione del "Libro d'oro delle Dolomiti" di Severino Casara, lasciato in sospeso per la sua morte, e dopo aver scritto la sua biografia, mi resi conto di avere la pazienza del ricercatore di fronte a migliaia di dati, e a quel tempo non disponevo di un computer. Lo stesso accadde alcuni anni dopo durante la stesura di un manoscritto che pubblicherò fra poco, riguardante le memorie di guerra di un giovanissimo italo-tedesco, Waffen SS, impegnato sui campi di battaglia in Pomerania e poi in Vietnam negli anni '50. La chiave di volta, però, me la diede mia madre durante le frequenti e lunghe telefonate negli ultimi anni e in occasione delle sue visite a Vancouver e delle mie in Italia. Mi parlava spesso riguardo le sorelle del nonno e la loro vita. Ricordavo anch'io le storie della prozia Anna, ma della prozia suora missionaria in Cina non c'erano molte notizie. L'idea di scrivere tre capitoli riservati a ciascuno, nonno e sorelle, dipendeva allora dai risultati che mi avrebbero fornito le suore canossiane dagli archivi storici dei conventi a Hong Kong. Fortunatamente in loro trovai un prezioso e indispensabile aiuto e una caterva di dati che ho poi ampiamente ricercato e usato. Da quel momento mi decisi a scrivere: tre capitoli ben distinti, ma intrecciati fra loro da storia e affetti».

In che modo suo nonno giustificò la volontà di raccogliere in un libro queste memorie?

«Il nonno Giuseppe Cazzoli aveva una volontà ferrea e una memoria enciclopedica e, avendo perso in battaglia gli scritti originali e i diari di guerra, si pose semplicemente a riscriverli in una ordinata maniera. Voleva che i giovani, nipoti compresi, fossero a conoscenza della storia, dei sacrifici e degli orrori della guerra, affinché riuscissero ad avere una saggia opinione e un giudizio critico su questi grandi temi».

Chi l'ha aiutato nella stesura delle pagine di questo libro?

«Ho avuto un particolare aiuto da mio fratello Otello e da suo figlio Dario per la ricerca di dati di famiglia e militari, dalle suore canossiane in Italia e a Hong Kong, dai colloqui con mia madre e dagli scritti lasciati dal nonno Cazzoli».

Ad un certo punto della sua attività, si è trovato di fronte ad una scelta letteraria: se propendere per un saggio di storia e cronaca familiare o se preferire la forma di un romanzo storico. Quale strada ha intrapreso?

«La scelta letteraria fu alquanto un tormento per me. Ero propenso per un saggio di storia e cronaca in senso accademico; mi sarebbe stato più facile in base ai miei studi perché avrei seguito la falsariga di una tesi. C'erano però troppi dialoghi da considerare. Dialoghi che, quasi parola per parola, avevo sentito ripetere molte volte in famiglia. C'era poi la questione della ristrettezza di stile associata al saggio e della complementare vivacità propria dei dialoghi in un romanzo. Non volendo perdere questi ultimi, decisi per una via di mezzo: un "cronanzo", cioè cronaca storica e romanzo. In questo modo non avrei interferito sulla fluidità del racconto, rendendo i capitoli più interessanti, forse avvincenti e più legati tra loro. Naturalmente questa scelta comportò maggiori difficoltà: non potevo scrivere liberamente come in un romanzo, ma dovevo attenermi a fatti storici e avvenimenti reali anche durante la costruzione dei dialoghi. L'aver fatto poi raccontare dai protagonisti, in prima persona, le loro storie, dona un senso di autenticità, schiettezza, integrità e, penso, calore umano al loro discorrere».

Ci sono stati momenti in cui ha ceduto il passo a indizi e probabilità. Perché?

«Indizi, probabilità, precedenti, possibilità, storia locale eccetera, servono durante la ricerca d'archivio quando le notizie sono scarse o incomplete. Allora si devono trarre conclusioni in base a ricostruzioni il più possibile vicine alla realtà, con una metodologia tipica di un detective. La ricerca a questo punto diventa avvincente oppure esasperante. Nel secondo capitolo, ad esempio, mi serviva il nome della nave, un particolare piuttosto importante per rintracciare la rotta o il porto d'imbarco. Dopo mesi di vane ricerche riuscii alla fine a ridurre a due le possibilità del nome e poco dopo ad una, ma non ero sicuro al cento per cento. Mi dovetti affidare allora ai precedenti e alla storia locale per la rotta della nave della compagnia triestina in questione, ma solo dagli inizi del 1927 in poi. Mi serviva l'ottobre del 1926. Altri indizi puntavano alla stessa conclusione e scrissi in accordo, anche se non potei citare il nome della vaporiera. In Italia, tre settimane fa, lessi per caso un libriccino di un missionario italiano nel quale menzionava la rotta e la nave triestina per Shanghai nel 1926, confermando così la mia analisi. Dovetti usare simili metodologie descrivendo l'assalto dei briganti alla giunca delle suore sul Fiume Bianco e nel terzo capitolo durante le fasi della guerra sul Carso e sull'Altipiano dei Sette Comuni. In questi casi le analisi e le ricerche furono molto più facili, avendo sottomano dati molto più attendibili».

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