NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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“Spes”: memorie di famiglia di un vicentino in Canada

di Laura Campagnolo

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“Spes”: memorie di famiglia di un vicentino in Can

Lei parla di un sentimento conflittuale nei confronti dei suoi familiari per essersi "impossessato" delle loro memorie. Il senso di colpa ha trovato redenzione nel risultato finale?

«Il mio conflitto interiore deriva dalla scelta letteraria. C'è un rischio inerente quando inserisci storie vere dei tuoi avi in un romanzo e quando ricostruisci dialoghi e fatti in un contesto storico: probabilmente loro non sarebbero d'accordo a causa delle inevitabili omissioni. Si rischia di sminuire la serietà delle storie e di peccare di presunzione nei dialoghi. Certamente ho provato soddisfazione a lavoro compiuto, anche se un senso di colpa rimane per la forzatura della scelta. Ma mi conforta il pensiero che anche i miei avi sarebbero stati quasi certamente, alla fin fine, piuttosto soddisfatti della lettura».

Nel suo libro "Armonia Pastorale", del 2008, Lei affronta tematiche quali l'appartenenza e l'identità culturale. Come vengono spiegate?

«Negli anni Sessanta, nei nostri paesini di campagna, appartenevi al tuo villaggio. C'era un certo campanilismo anche fra noi giovanissimi che, raramente per fortuna, poteva sfociare a sassate contro gli "invasori" di un paese vicino, nonostante la medesima identità culturale. Queste tematiche le ho sviluppate nel contesto di uno scolaro alle elementari: inconscia ma automatica appartenenza a famiglia, scuola, chiesa, contrada e paese».

Secondo Lei, che funzione assolve la parlata vicentina nel richiamo alle proprie radici?

«Il dialetto vicentino ti offre i primi gradevoli suoni quando nasci e te li porti dietro nella cadenza della parlata per il resto della vita, anche quando ti esprimi in italiano. È parte integra e principale di chi sei tu, delle tue radici. Senza dialetto sei solamente italiano, di qualsiasi parte d'Italia, il che non sarebbe male, ma col dialetto sei qualcosa di più. Spesse volte indovino la provenienza di qualcuno dal dialetto italiano o dalle inflessioni del nostro dialetto veneto. Nel ricordo o nella ricerca delle proprie radici il dialetto diventa un marchio d'origine o, detto più gentilmente, una distinzione in connubio con l'essere».

Attraverso questi argomenti, come si arriva ai "valori profondi dell'esistenza"?

«I valori profondi dell'esistenza te li ritrovi davanti ogni giorno nell'apprezzamento delle piccole grandi cose, al contatto con la natura, in seno alla tua famiglia, con l'amicizia dei compagni di scuola e poi con l'amore. È più facile arrivarci se vivi in un paesino e sei permeato di tutto ciò».

"Armonia Pastorale" è composto di pagine autobiografiche. Quali aspetti della sua vita ripercorrono?

«In questo libretto le pagine autobiografiche rivelano un carattere piuttosto inquieto, che ha portato l'autore ad emigrare poi per spirito d'avventura. Sono ancora talvolta succube di questo spirito«.

Si intravede anche qualche immagine del paese natale, Novoledo, in rapida trasformazione nel corso degli anni. Come ha vissuto questo cambiamento?

«Osservavo con alcuni amici, in una recente visita in Italia, che oramai purtroppo conosco più gente al cimitero che in paese. È triste, non solo per il fatto che percepisci il passare del tempo e l'avvicinarsi della vecchiaia, ma anche per i ricordi, le gioie e i dolori in comune che puoi esprimere solamente attraverso una cerchia sempre più ristretta di persone. La mia nostalgia consiste appunto in questo, non nell'inesorabile scorrer del tempo o nella gioventù che non ritorna. Il cambiamento fisico del paese non sempre è stato per il meglio, ma sarebbe pretendere troppo ritornare e ritrovare le stesse mura e campagne al tempo della mia giovinezza o della partenza, in quello stato di innocenza e pristina bellezza pastorale, anche se mi sentirei estremamente più a mio agio».

Sfogliando il libro, il lettore percepisce un'atmosfera fiabesca...

«Una mia collega nella sua critica ha osservato che "Armonia Pastorale" si legge come fosse una fiaba. Sarà per l'innocenza del protagonista e per le disavventure che gli capitano, sarà per il fatto che il racconto si snoda con un susseguirsi di brevi episodi, forse scritti con stile leggero, dal punto di vista di un ragazzino curioso che vuole imbibire la vita come una gemma brama il sole a primavera».

Come ha vissuto l'esperienza dell'emigrazione in Canada?

«In verità non mi sono mai sentito un emigrato nel senso tradizionale del termine. Non fui costretto ad emigrare per lavoro o altro, fu una mia scelta per secondare la mia sete d'avventura. Mi sono sentito piuttosto un privilegiato, anche se l'esperienza in generale mi ha reso molto più umile. Ho viaggiato molto, scalato montagne, ammirato terre sconosciute ai più, esplorato foreste, cercato anche l'oro, salpato sulle onde del Pacifico, sono andato a pesca, a caccia, ho studiato e anche lavorato moltissimo. Sarei ritornato in Italia dopo il mio vagabondare, ma mi sposai con una ragazza cinese e quindi misi famiglia e nuove radici in questa terra di primordiale e selvaggia bellezza»

nr. 47 anno XV del 25 dicembre 2010

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