NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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“Una vita da falsario”: dall’editore Colla un originale contributo alla memoria

Nel clima di rievocazione delle tragedie della Shoah la biografia di un polacco che si specializzò nel realizzare documenti d’identità per gli ebrei e i resistenti che fuggivano alla Gestapo

di Mario Bagnara
mario.bagnara@fastwebnet.it

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“Una vita da falsario”: dall’editore Colla<BR>
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Nel particolare clima di rievocazione, e quindi di condanna, delle varie forme di violenza perpetrate da contrapposte ideologie in nome di veri o presunti diritti umani, creato in questi giorni dalle celebrazioni delle giornate della memoria e del ricordo, credo che la riscoperta di una vicenda umana di un "falsario" al servizio di nobili cause, impegnato non solo nella resistenza francese dell'ultima guerra, ma anche in pressoché tutti i movimenti mondiali di lotta contro l'oppressione fino al 1971, costituisca un evento di particolare rilevanza non solo europea.

Grazie all'editore Angelo Colla, già collaboratore/factotum di Neri Pozza, anche Vicenza ha avuto modo di conoscere più a fondo la biografia di Adolfo Kaminsky, scritta dalla figlia Sarah, di professione attrice e sceneggiatrice, partecipe al Galla Forum come autrice dell'elegante volume, pubblicato ora, dopo l'enorme successo ottenuto dall'edizione francese del 2009 di Calmann-Lévy, in ottima traduzione italiana, curata da Giuliano Corà, con il titolo Adolfo Kaminsky. Una vita da falsario (224 pp. 18 euro).

 

Apparente autobiografia di Adolfo Kaminsky

Il testo si presenta come un'avvincente autobiografia, interrotta solo da qualche breve domanda, in cui il padre Adolfo, tuttora vivente in Francia, ottantacinquenne, racconta, giustificandola a più riprese sul piano etico, la sua esperienza di falsario internazionale a Sarah, ultima dei tre figli avuti dal matrimonio del 1973, a quasi cinquant'anni, con l'algerina Leila, studentessa di diritto all'Università di Algeri, «infinitamente bella...molto colta».

In realtà «Ci sono voluti due anni di ricerche e una ventina di interviste - dichiara l'autrice nel Prologo - per riuscire a fare la conoscenza di Adolfo Kaminsky; a me che conoscevo solo "papà"». Sullo sfondo dei retroscena meno conosciuti di un periodo storico che ha mutato radicalmente il panorama politico dell'Europa e di molti altri paesi del mondo, risalta in primo piano un'ammirevole figura di eroe, sempre pronto a sacrificare se stesso, per favorire la libertà e la libera circolazione di ogni popolo.

 

Una storia complessa e ricca di suspence

Impossibile fare sintesi del complesso racconto che, partendo da Parigi nel gennaio del 1944, in piena seconda guerra mondiale, spazia, attraverso opportuni flashback, dagli inizi del ‘900 fino a dopo gli anni '70 dello stesso secolo: vi sono così comprese anche le vicende dei genitori, ebrei russi, conosciutisi a Parigi, ma costretti, con l'avvento del potere bolscevico, a emigrare in Argentina per le loro simpatie marxiste, acquisendone la nazionalità. Adolfo nasce appunto a Buenos Aires nel 1925 e ritorna in Francia con i genitori solo più tardi, nel 1932, a 7 anni, dopo un primo tentativo bloccato con l'immediata espulsione e il conseguente esilio di due anni in Turchia «In opprimente miseria».

Simpatico e accattivante protagonista Adolfo che, fornito solo del diploma di licenza elementare, coltiva le sue attitudini per la pittura, la fotografia, la fotoincisione e soprattutto per la chimica, la sua «Sola ragione di vita», e attraverso esperienze di lavoro come tintore e di studio anche durante i tre mesi di «incontri meravigliosi e infinitamente ricchi», passati a Dranchy nel 1943, nel carcere/centro di smistamento, «un formicaio», per i convogli verso i campi di tutta Europa, diviene, quasi da autodidatta, il più abile falsario di tutti i tempi, pronto a soddisfare le richieste anche ritenute impossibili, come i passaporti svizzeri, messicani e sudafricani. «Rispondo sempre di sì - confessa ad un certo punto - anche se in alcuni casi non so bene come farò. Penso che spremendomi le meningi riuscirò, perché so che niente è impossibile. Ho sempre tirato fuori qualcosa». Per lui quindi, pronto a sacrificare anche notti intere per rispondere alla sua fondamentale sensibilità umanitaria di salvare vite umane, nulla appare impossibile, niente è infalsificabile. Questo il suo programma, giustamente riportato nel risvolto di copertina: «Restare sveglio. Il più a lungo possibile. Lottare contro il sonno. Il conto è presto fatto. In un'ora, muoiono trenta persone».

 

Opportunità di guadagno? «No, grazie!»

Una simile abilità potrebbe diventare per Adolfo una fonte di guadagno eccezionale, ma la sua coerenza umanitaria, nonostante le difficoltà economiche che hanno sempre caratterizzato la sua esistenza, non viene mai meno: per lui, "non mercenario", le proposte di compenso professionale sono vere e proprie offese e, talora, anche causa di rottura di rapporti d'amicizia. A suo giudizio infatti, «Le storie di soldi producono inevitabilmente grosse rogne... Il denaro suscita l'avidità, e possiede in sé il potere di sviare gli animi e corrompere anche i cuori più saldi». Ecco allora, nel 1945, dopo un anno di impiego nel controspionaggio francese, in qualità di "falsario di stato", nominato sottotenente, alloggiato all'Hotel Doisy, vicino alla Place de l'Étoile, con macchina e autista a disposizione, alle dipendenze dal nuovo Ministero dei Prigionieri di guerra e Deportati, retto dal giovane François Mitterand, presentare le sue dimissioni, quando, alla fine della guerra, gli viene proposto di curare la cartografia dell'Indocina ai fini della riconquista dell'ex colonia. «Non mi sentivo più al posto giusto. Lo spionaggio militare in tempo di pace non mi riguardava, e l'idea di partecipare alla guerra coloniale che si prospettava imminente mi rivoltava e mi terrorizzava».

E coerentemente, anche successivamente, dopo che era stato raggiunto l'obiettivo dell'indipendenza dell'Algeria con la proclamazione del cessate il fuoco da parte delle autorità francesi il 18 marzo 1962, ecco porsi per il falsario Adolfo il problema dell'enorme quantità di franchi francesi falsi, da lui stampati, durante i due anni di trasferimento in Belgio, «piattaforma girevole per i passaggi di confine», dato che agli stranieri era richiesta la registrazione solo dopo tre anni di residenza. L'obiettivo, fallito in precedenza in Olanda, era quello di piegare la Francia, stremata dall'impegno della guerra algerina, mettendo in crisi la sua economia mediante la stampa di banconote false, da lui però mai messe in circolazione né numerate, nella speranza, sempre da pacifista e contrario alla violenza, e a suo modo rispettoso della legalità, che il conflitto algerino «trovasse una soluzione diplomatica più accettabile». Prima che qualcuno dei suoi amici della rete rivoluzionaria si accorga dell'esistenza di questo tesoro, è quindi pronto a bruciare tutte le banconote in una buca scavata nel giardino di un amico belga del réseau. «È vero che bruciano molto bene, ma volano da tutte le parti. Ci è voluto un mese per completare il lavoro: erano davvero tante! Un fuoco di gioia che ci parve interminabile...Ero come esaltato, ebbro del tempo di pace ritrovato».

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