NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Grande spolvero alla presentazione del libro di un’esordiente alla “Galla”

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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Grande spolvero alla presentazione del libro di un

La bellezza si sta degradando

Però è l'assedio di una bellezza che si sta degradando, con tutto quello svolazzare di lunghi capelli e occhialini neri e gambe perfette e sorrisi rifatti, che escono dalle stanze dei giudici o dalle auto di scorta, assalite da fotografie da giornalisti; perché è quella bellezza di serie, sono quelle belle intristite, che i potenti pretendono di asservire in massa alle loro pornopossessioni, minimo venti alla volta; notti turbolente, portafogli momentaneamente pieni, giovani vite esposte alla curiosità, allo sghignazzo, al giudizio, futuro incerto forse glorioso, forse no.

Come un romanzo pirandelliano, il libro della Veladiano è anche il libro delle prigioni, perché ognuno vive nel suo letto di Procuste, ingabbiato nella sua prigione che impastoia e soffoca la vita: la figlia nella sua bruttezza, la madre nella sua depressione, il padre nella sua inettitudine, Lucilla nella sua spregiudicatezza, l'insegnante nella sua solitudine ecc., ognuno con la propria tragedia e con il proprio occulto dolore.

La storia di ognuno di noi

Ne nasce, di conseguenza, che la storia di Rebecca è la storia di ognuno di noi alle prese con le difficoltà e i problemi della vita. Il problema iniziale della bruttezza genera tanti altri problemi, come nota Ferdinado Camon, il racconto della Veladiano lavora all'impostazione e, per quanto è possibile, alla soluzione di tutti. C'è il problema di Rebecca che nasce brutta e la bruttezza rinvia a Dio o il fato o il destino (e qui entra in gioco la genetica oppure la filosofia o la teologia), c'è il problema del padre che non regge il proprio ruolo, non accompagna la figlia a scuola; c'è il problema della madre, che si chiude in un silenzio in cui la piccola si sente annegare; c'è il problema della zia Erminia, che non ama la madre, mentre ama troppo il padre, suo fratello; c'è il problema di Lucilla che, unica fra tutti, le parla e la saluta fin dal primo giorno, una ragazza di vita, grassa e quindi brutta (altro problema della nostra società che vede tante ragazze rifugiarsi nell'anoressia) come lei. Alla fine tutti questi problemi che soluzione trovano?

La vita va accettata tutta

Ce l'ha detto la Veladiano stessa alla fine della sua presentazione: la vita va accettata così com'è nei suoi limiti e nelle sue imperfezioni: «Ognuno di noi ha la vita che si merita e ogni vita val la pena di essere vissuta nella sua pienezza e nella sua totalità». Una conclusione non del tutto nuova visto è che è la stessa che messer Lisander proponeva alla fine del suo vecchio "romanzetto": "I Promessi Sposi": «Ringraziate il cielo che v'ha condotti a questo stato, non per mezzo dell'allegrezze turbolente e passeggiere, ma co' travagli e tra le miserie, per disporvi a un'allegrezza raccolta e tranquilla». Un libro sapiente quindi quello della Veladiano che presenta il miracolo di trasformare una vita sbagliata e inguardabile in una vita che - come dice Camon - «Migliora l'umanità» e la rende più bella proprio attraverso la bruttezza che non è il peggiore dei mali proprio in una società che ha fatto della bellezza uno dei perni su cui si reggono talvolta le sorti della società e dell'economia. Ora che il romanzo della Veladiano sarà tradotto anche in inglese potrà insegnare a quella famiglia Kirwan di Londra che ha sottoposto la figlia Ophelia mongoloide a dodici operazioni di chirurgia plastica per renderla più accettabile da una società che riconosce valore solo a ciò che si vede.


nr. 06 anno XVI del 19 febbraio 2011

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