NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Due donne contrapposte

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Due donne contrapposte

Signora Vukotic, lei è famosa anche per aver interpretato per molti anni la Pina, moglie di Fantozzi, un personaggio non poi così dissimile da quello di Margot, vittime di un certo sistema che per quanto castrante, queste persone vivono come inattaccabile. Sia la Pina che Margot sono personaggi comici ma profondamente tragici: sono donne che non esistono se non in funzione di altro.

M.V.: «Beh la Pina è esasperata, accetta ed è succube, Margot non ha accettato. Si è liberata è tornata a casa ed è tornata a prendere Claude per ricominciare, dice che ha chiarito con la figlia ma è insito nella sua natura avere una certa immaturità».

Si denuncia sempre la condizione della donna in varie circostanze e spesso si che le donne pagano un prezzo più alto nelle scelte. Il fatto che ci siano dei personaggi comici di questo tipo, vuol forse dire che la problematica è irrisolvibile, che si è ormai cronicizzata e che non vedendone una via d'uscita non ci resta che ridere?

M.V.: «Secondo me non è così schematica la cosa, credo siano personaggi che sono stati immersi in un'espressione teatrale, però sono sempre esistiti. Oggi come oggi, con tutta la libertà che c'è in tante espressioni, sono sempre più frequenti, ma non credo che la situazione sia così definibile: non è che non ci resta che ridere perché "tanto la donna è così e sarà sempre così", né il contrario».

V.V.: «Qua si risolve in maniera spettacolare, c'è la voglia di ribellarsi, e molte lo fanno: se una situazione è insostenibile tu cerchi di uscirne, poi oggi non ci vuole niente e non c'è nessuna pazienza di vedere se le cose cambieranno. Quello di dipendere è la cosa più umiliante che ci sia: non ti fa vivere, ti umilia, ti accascia e ti mortifica. Bisogna essere indipendenti».

Voi avete lavorato con attori e registi molto importanti tra cui Strehler, Zeffirelli, Tarkovsky, Cottafavi, la Wertmuller eccetera. Cos'hanno in comune questi registi, cosa li differenzia e in che modo queste differenze e affinità vi hanno influenzate?

V.V.: «Difficilissimo, è impossibile nel mio caso: sono 62 anni che faccio questo lavoro, se penso che solo il primo anno con Calindri ho fatto 18 commedie... Mi hanno arricchito perché abbiamo fato anche cose impegnate e serie, oltre alla meravigliosa farsa francese che non fa più nessuno».

Spesso capita di sentir dire: questo bambino è un fenomeno, da grande sarà un ballerino, un attore eccetera. L'esistenza artistica di una persona segue una parabola con sfumature, simile a quella della vita "normale" descritta nella pièce, oppure appartiene a una dimensione diversa?

M.V.: «Credo che forse appartiene a una dimensione diversa, a un'educazione, al culto di ciò che immaginiamo e pensiamo che sia l'arte. Anche lì non credo che sia così definibile, perché in ciascuno si manifesta in modi diversi. Lo sviluppo artistico, dipende da tante cose, prima di tutto da ciò che siamo dentro e poi da quelli che coltivano quello che noi abbiamo avuto e questi sono i maestri, gli incontri che sviluppano quello che è la nostra dimensione artistica».

V.V.: «Il testo cerca i rispecchiare ciò che è la vita reale e dovrebbe essere maestro di vita; affrontare argomenti e situazioni, quando ci sono un certo tipo di messaggio, non rimangono lì, ti arricchiscono. L'artista non vive una vita diversa dalla persona normale, quello dipende dal carattere di una persona, non è il teatro che ti crea questo. Poi già per il fatto che scegli di fare il teatro non è una scelta normale: l'attore di teatro vive sul carrozzone, il teatro lo devi portare tu».

Ma si arriva un momento in cui ormai si è dato e "tanti saluti" oppure c'è la possibilità di migliorarsi sempre?

V.V.: «Non ci sono dei limiti: l'entusiasmo, la vivacità, l'interesse. Fino all'ultimo respiro ti può capitare di dire: "Ah però! Questa cosa mi è sfuggita, non ci avevo pensato, può esser anche così". Questo è il gusto della vita, che non è monotona. Certo, se fai di tutto mettere la testa sotto la sabbia non ti accorgi di niente ma se tieni gli occhi aperti continui a vederne tante e ti sorprendi fino alla fine».

 

nr. 07 anno XVI del 26 febbraio 2011

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