NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Quel segno invisibile sulla tela bianca

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Quel segno invisibile sulla tela bianca

Serge difende il suo acquisto e la sua convinzione, ma in realtà protegge la sua scelta di identificazione e appartenenza a una classificazione di persone: essere "qualcuno" per la massa è più importante che relazionarsi onestamente con se stesso e con i suoi amici?

A.B.: «È terribile ma la domanda è esatta».

G.A.: «È sempre quello il gioco: ognuno di noi ha bisogno di essere riconosciuto dagli altri, di far parte di un gruppo, di non essere solo. Dopo un po' niente ti basta, è una cosa che hai già, cercherai sempre qualcosa di nuovo e avrai sempre più bisogno di ingoiare e tritare robe nuove che confermino la tua esistenza e il tuo diritto ad esistere, la tua non solitudine».

Arriva il momento in cui Marc si chiede cosa lega i tre amici. Un dubbio del genere fa pensare che tutto ormai sia finito. In scena, questa domanda, dovrebbe portare a una svolta nella storia, invece loro continuano a litigare come prima. Sembra un loop dal quale non c'è via d'uscita.

A.B.: «C'è un cinismo, nella Reza, che ti fa capire tramite questo vortice, che nella vita magari si è un po' più placato, ma nel teatro lo devi esasperare per farlo arrivare, perché ti sorprende, così ti arriva come messaggio, te lo porti a casa e cominci a meditare: ma io devo dire tutto al mio amico altrimenti non sono un vero amico oppure devo dire delle bugie anche per il quieto vivere e andare avanti? Queste domande te le poni se hai un'amicizia vera».

G.A.: «Questi, che sono persone intelligenti e per niente stupide, le domande se le pongono, il problema è che non vogliono o non sono in grado di rispondere che in un modo, cioè perpetuando il meccanismo che è innestato e si può rompere solo come succede nel finale, con il riconoscimento dell'importanza dell'altro. Anche se la cosa rimane aperta, si apre la questione del rapporto: quanto devi essere te stesso fino in fondo e dire all'altro tutto quello che sei o quanto ti devi tenere una cosa per te perché duri? E lei astutamente butta questa cosa sul pubblico, non dà la risposta».

C'è un ritmo serratissimo e una concertazione incredibile tra di voi, se foste un gruppo musicale ci potrebbero essere improvvisazione e variazioni sul tema?

A.H.: «Può essere, crediamo in quello che facciamo ci piace il testo, ci piacciamo noi, anche qua in qualche modo, arricchiamo, togliamo, sempre nell'ambito e cercando di tenere i personaggi, la struttura è quella, c'è musicalità nel citare tempi e controtempi».

G.A.: «Ogni parola serve ad aggiungere fuoco, a provocare, quindi l'improvvisazione è difficile perché nell'improvvisazione, di solito, c'è una scintilla e intorno roba che non serve così tanto, e questo finirebbe per togliere ritmo. Questo è un testo che può reggere solo se è recitato un po' come se fosse uno spartito musicale».

Serge e Marc sembrano essere delle persone davvero orribili: come può esserci amicizia e tanto odio?

A.B.: «Vuoi ferire perché c'è qualcosa che ti ha ferito. Lì dietro c'è un marasma di 15 anni che non viene raccontato, vedi solo quella serata lì, 15 anni prima di ripicche, calpestii di piedi alla fine somatizzi somatizzi, somatizzi e poi "boom!!". E il quadro bianco che cos'è? L'arte contemporanea provoca e quello è il pretesto per far traboccare la goccia dal vaso».

 

nr. 09 anno XVI del 12 marzo 2011

 

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