A pagina 23 del libro di Di Lorenzo e Mason una bellissima fotografia in bianco e nero delle vecchie gradinate distinti danneggiate dai bombardamenti offre un saggio del vecchio Menti; ai primi anni ‘60 fu affidato il primo intervento vero di trasformazione e ampliamento della capienza: proprio in questa fotografia, nella parte bassa si intravvede l'inizio di una curva che appunto fino a metà degli anni ‘60 rimase come una vera e propria mezza luna pavimentata con asfalto e con la dovuta pendenza per permettere a quelli che stavano dietro di farsi un'idea di cosa succedeva in campo. Era la "gradinata nord", lato Continental, per capirci, mentre la sud era stata realizzata con una decina di gradoni sostenuti dai classici tubi innocenti. Tutto il resto ancora doveva venire. Solo la pista era già stata eliminata per allargare il campo.
È anche attraverso qualche particolare in più che si dipana una storia così, lunga ed emozionante, in cui uomini e avvenimenti raccontano se stessi e parlano al futuro. Che cosa sia ora il futuro per questo stadio intitolato al calciatore forse di maggiore prestigio mai sfornato dalla pur attrezzatissima scuola vicentina (Baggio e Campana, Gigi Menti e Giulio Savoini, ecc.) è presto detto. Ci sarà un altro stadio Menti, ma in zona est: sarà uno stadio moderno e a norma dei canoni vigenti, non ci si potrà permettere distrazioni da questo punto di vista. Avrà accessi urbanisticamente decenti e parcheggi adeguati? Avrà servizi pubblici disponibili tali da risparmiare a chi va allo stadio code infinite e attese da nevrosi? Nessuno può dirlo oggi.
Quel che di certo si può dire è che su questo stadio, su questo "Menti del cuore", si piangeranno le stesse caldissime lacrime che i veronesi versarono all'epoca per il vecchio Bentegodi. Come pretendere che quando se ne va un simpatico e affezionato prozio nessuno manifesti un minimo di attenzione. La storia è così, gli usi anche: se andate oggi a Verona e chiedete a un quarantenne se sa qualcosa di un vecchio Bentegodi vi guarda e cerca di capire che venerdì vi manca. Gira in questo modo, con poche varianti a cliché stravisti e rivisti.
Giù a picconate un qualcosa, di questo qualcosa non rimane nemmeno la polvere o la eco del chiasso che le squadre di demolitori hanno provocato per completare il loro lavoro. Certo è che di questo Menti Del Cuore, parlando da sentimentali, quale che sia la soluzione urbanistica pensata tutto attorno, conserveremmo quell'entrata civettuola e unica in Italia, mezzo liberty e mezzo neoclassica, che al di là della montagna di anni trascorsi è da sempre simbolica. Neanche a pensarci, ovviamente, ma un'idea ce la faremmo lo stesso.
Per conservare ricordi forti e anche lontanissimi, per descrivere una storia che il libro dei due giornalisti vicentini spiega benissimo al di là delle parole e che proprio in omaggio al diritto della cronaca di non essere ignorata si conclude con le immagini dell'ultima alluvione di novembre. E anche dell'ultimissima nevicata. Più di così, come tributo al cuore che segue palpitando per il Menti, davvero non si poteva fare e nemmeno inventarsi.
nr. 10 anno XVI del 19 marzo 2011