NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Veneto: a chi fa paura il nucleare? La posizione dei parlamentari e assessori regionali vicentini

Dopo la tragedia giapponese torna d'attualità il dibattito e la strategia sul nucleare: serve davvero e chi lo vuole?

di Luca Faietti
faiettil@tvavicenza.it

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Veneto: a chi fa paura il nucleare? La posizione d

Il nucleare mette paura, ma è una paura tale da giustificare comunque un impegno per investire su questo tipo di energia e su centrali che hanno comunque dimostrato nel corso degli anni di non essere completamente affidabili? I casi di Chernobyl e l'ultimo di Fukushima sono più che indicativi. E soprattutto nel caso il piano del Governo andasse avanti chi è disposto senza colpo ferire ad ospitare una centrale nucleare "sotto casa"? E nel caso, che farebbe il Veneto? Il dibattito che ne è sorto è quanto meno significativo delle posizioni che i politici hanno in merito.

Alla luce di quanto successo in Giappone ritiene ancora attuabile il progetto nucleare per l'Italia e come vedrebbe lei a questo punto una centrale nucleare in Veneto?

Roberto Ciambetti, assessore regionale Bilancio: «Sulla scia dell'ondata emotiva direi che si è chiusa l'era del nucleare. Ragionando in termini razionali sappiamo che non è vero: solo in Francia ci sono 59 centrali nucleari, una grande centrale si trova in Slovenia, 5 in Svizzera, 8 in Spagna: siamo circondati! Circa un quinto dell'energia consumata in Italia è prodotta in centrali nucleari. C'è una questione energetica ed è drammatica, perché se è vero che il nucleare è rischioso, è altrettanto vero che i combustibili fossili stanno rendendo l'aria irrespirabile, con prospettive devastanti per il futuro. Per quanto riguarda il problema dello sviluppo del nucleare, il Veneto con la realizzazione dell'impianto di Porto Tolle si avvia ad essere autosufficiente sul piano energetico e non mi sembra il caso che una Regione che è autosufficiente energeticamente e in cui ogni cittadino paga 4.315 € a testa in più di quanto non riceva da tutte le amministrazioni pubbliche, s'accolli in sovrappiù anche l'onere di una centrale nucleare: becchi e bastonai? "No, grassie!". A parte il fatto che, considerata l'antropizzazione e la densità di centri urbani e luoghi d'arte, la presenza di spazi a forte valenza ambientale, come il delta del Po o le Dolomiti non a caso tutelate dall'Unesco, non mi pare che in Veneto esistano siti idonei per questa tipologia di impianto, checché se ne dica».

Daniela Sbrollini, parlamentare PD: «Non ho mai considerato attuabile il progetto nucleare ipotizzato dal Governo Italiano. Non penso sia quella la strada che l'Italia deve imboccare. L'incidente accaduto in Giappone, per il quale esprimo tutta la mia vicinanza umana alla popolazione colpita, mette in luce tutte le criticità e i rischi nell'utilizzo di questa fonte di energia. Parlare oggi di confini regionali per la collocazione di una centrale lascia il tempo che trova! Nel caso di incidente, non è certo il perimetro del Veneto o della Calabria a circoscrivere i possibili danni. Il tema è nazionale, e deve vedere la compartecipazione del Governo e delle Regioni con i propri enti locali; ma ripeto spero proprio che questo percorso verso il nucleare trovi un deciso stop in tempi brevi.
Tutto il mondo s'interroga: l'America, la Francia, la Germania, l'Austria... insomma, tutti hanno attivato nei propri siti nucleari una riflessione, un approfondimento sulla sicurezza, hanno bloccato i decreti che prolungavano il funzionamento di centrali oggi in produzione, hanno aperto una riflessione nelle sedi parlamentari; insomma per dirla fino in fondo, tutto il mondo s'interroga sul nucleare e l'Italia con un sentimento che "puzza" di ideologico possiede l'unico Governo pronto a costruire centrali nucleari quando il resto del mondo pensa a chiuderle. Forse questa riflessione va fatta e deve trovare una voce forte tra i cittadini».

Stefano Stefani, deputato della Lega Nord: «In questi anni mi sono battuto essenzialmente per una cosa, e cioè che venisse a cadere il preconcetto ideologico che in Italia, per il referendum che lo accantonò tantissimi anni fa, non si possa parlare di nucleare civile. Quello per cui mi sono sempre battuto è che si tornasse a discutere civilmente, che si valutasse un'ipotesi nucleare sulla base dell'evoluzione tecnologica che gli impianti di ultima generazione possono vantare.
Ma dire che, in ogni caso, di nucleare non si deve parlare, mi sembra una cosa che un Paese civile come l'Italia, privo di risorse energetiche, non si possa permettere. Ciascuno avrà modo di dire come la pensa e poi, valutando tutte le ipotesi, si potrà prendere una decisione».

Paolo Franco, senatore della Lega Nord: «Nel 1986, a seguito dell'incidente di Chernobyl, l'Italia rinunciò al nucleare. O meglio: rinunciò ad una politica energetica di cui il Paese aveva assolutamente bisogno. È ancora presto per trarre conclusioni, ma il terremoto in Giappone ha messo a dura prova diversi siti nucleari. Se i danni alle centrali rimangono quelli attuali, dovremo concludere che il sistema ha mostrato una solidità strutturale incredibile, data la catastrofica intensità del sisma. Per questo non si deve tornare ancora una volta a decidere, o meglio a non decidere, le sorti della fornitura energetica del Paese sulla base di fatti eccezionali, sull'onda dell'emotività e al di fuori di una valutazione d'insieme delle problematiche.
Secondo le stime dell'Associazione delle industrie petrolifere, nel 2011 la bolletta energetica italiana potrebbe superare il livello record dei 60 miliardi di euro, contro i 51,7 miliardi del 2010. In questo contesto, nell'ipotesi di un cambio analogo a quello attuale e a quotazioni medie comprese tra 90 e 100 dollari al barile, la fattura petrolifera è determinabile in una forchetta compresa tra 31,3 e 37,4 miliardi di euro. Ci dobbiamo quindi porre due domande. La prima: l'Italia si può permettere un conto così salato, anno dopo anno, per approvvigionarsi da fonti prevalentemente straniere, o è destinata a retrocedere verso un ineluttabile impoverimento delle famiglie e l'emarginazione delle proprie industrie dai mercati a causa dei maggiori oneri energetici? La seconda: quanto costa, in termini ambientali e di salute dei cittadini, l'immissione in atmosfera dei residui derivanti dalla trasformazione dei prodotti petroliferi in energia?
Sono domande alle quali occorre dare una risposta. La programmazione di una politica energetica non può essere di breve periodo, bensì prevedere i consumi dei prossimi decenni ed individuare le conseguenti fonti di approvvigionamento. A mio avviso, per un Paese privo di materie prime qual è il nostro, è necessario progettare un insieme di strumenti valutandone per ciascuno il costo ambientale e l'effettiva capacità di produzione energetica.
Alla luce di queste considerazioni, ritengo che il Veneto abbia la possibilità di non istallare il nucleare sul proprio territorio, vista anche la quantità di energia prodotta e i costi ambientali sostenuti con la centrale di Porto Tolle [foto a destra]».

 

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