«La sottoscritta ora sta bene, è stata dimessa dopo sei giorni dall’Ospedale di Padova, ma vive nella terribile angoscia di sapere se la grave operazione che le è stata fatta a Padova con asportazione dell'utero avrebbe potuto essere evitata qualora le proprie condizioni fisiche fossero state meglio valutate a Noventa Vicentina, ove, si badi bene, è rimasta soffrendo di una grave emorragia dal momento del parto sino alle 21.30 senza che alcun sanitario abbia risolto la patologia».
È forse questo il brano principale dell'esposto presentato alla procura di Vicenza da una donna di 35 anni residente a Mossano e che ha dato vita ad una indagine per lesioni. La donna, dopo il parto nel reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Noventa, è stata vittima di una grave emorragia e alla fine, per salvarle la vita, si è resa necessaria l'asportazione dell'utero da parte dei chirurghi dell'ospedale di Padova. Ma gli interrogativi sono inquietanti. «La sottoscritta – si legge ancora nell'esposto – teme inoltre che la propria situazione sia stata aggravata dagli interventi che, via via, le sono stati fatti dai medici dell'ospedale di Noventa e che pertanto avrebbe potuto essere curata senza necessità di vedersi asportare l'utero, privandosi pertanto della possibilità di avere altri figli».
Ma vediamo di ricostruire i fatti con l'aiuto del documento preso in esame dalla procura, seguendo il racconto della stessa donna.
«La sottoscritta, in data 4 agosto 2010, al termine della gravidanza e a seguito della “rottura delle acque” si è recata presso l'ospedale di Noventa ove era stata seguita in tutto il periodo pre-parto. Verso le ore 13.30-14.00 sono stata visitata dall'ostetrico di turno il quale mi ha sottoposta ad una ecografia, alla luce della quale sono stata ricoverata in attesa delle contrazioni e del parto. Nel corso del pomeriggio sono stati eseguiti dei “tracciati” e alla sera sono stata tenuta in ospedale, affinché, se la situazione non si fosse naturalmente sbloccata, la mattina successiva fosse indotto il parto. Nel corso del pomeriggio-sera, il medico di turno mi rappresentava che, poiché il tampone eseguito risultava positivo, si era consultata con altri colleghi sul momento migliore per indurre il parto. La mattina del 5 agosto la dottoressa di turno mi riferì che, una volta sentiti i colleghi, si sarebbe indotto il parto con il gel. Il gel è stato applicato alle 09.00 e alle 10.55 con parto naturale ho dato alla luce mia figlia. Il parto è avvenuto appunto naturalmente con l'ausilio di alcune “manovre meccaniche” eseguite dalle ostetriche di turno. Dopo il parto la neonata è stata portata al nido e la sottoscritta rimessa in piedi dalle ostetriche. In quella occasione sentii all'altezza del ventre una strana sensazione, come se si fosse rotto un tessuto all'interno, ma non vi diedi particolarmente peso, pensando che si trattasse di dolori conseguenti al parto. Poco dopo vennero applicati alcuni punti di sutura sulla parte interessata al parto e in quel momento i sanitari che stavano procedendo a suturare ebbero a rilevare una copiosa fuoriuscita di sangue. In quel frangente presente nella stanza vi era anche il primario del reparto di ostetricia il quale procedeva ad eseguire alcune manovre dolorosissime all'interno dell'utero. Rassicurata dal sanitario, che mi diceva che era tutto a posto, sono stata portata in sala travaglio e ho aspettato un po', senza che nessuno mi visitasse, che l'emorragia si arrestasse. Le ostetriche e il ginecologo di turno riscontravano in seguito sia che il ventre al tatto risultava durissimo, sia che l'emorragia non accennava ad arrestarsi. Nel pomeriggio sono stata portata in sala operatoria ove in più occasioni ho perso i sensi.