NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Roy Paci, l’umiltà di un artista

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Roy Paci, l’umiltà di un artista

Se la vicinanza di varie aree geografiche porta a una contaminazione culturale, quindi sud Italia, l’influenza araba e balcanica o la musica klezmer eccetera, come succede che questi ritmi si sposino maggiormente con realtà musicali e di contenuti più lontane, come il jazz e invece non con altre realtà culturali dello stesso continente?

«Da piccolo avevo questa radiolona con la spia verde e con le onde medie, abitando a Siracusa, sentivo tutto: musica nubiana, africana, radio dalla Grecia, dall’Albania e ho ascoltato talmente tante cose che in età avanzata, quando ho cominciato a studiare il jazz contemporaneamente al conservatorio, mi sono fatto l’idea che tutto sta alla baRoy Paci, l’umiltà di un artista (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)se dell’improvvisazione. E molti sbagliano, considerano l’improvvisazione sinonimo solo di jazz, invece la si ritrova in tutte le culture musicali. Devi vivere il posto per imparare la lingua: sono stato due mesi a Casablanca e mi sono talmente mescolato con gli Gnawa che ho imparato il loro modo di approcciarsi alla musica, un modo quasi spirituale. Gli Gnawa sono i musicisti che accompagnano durante i rituali la persona che si sente come il tarantolato, è il corrispettivo della trance della taranta italiana. Io suonavo lì con loro e la cosa che mi faceva impazzire era giocare con la tromba sulle scale arabe, strumento inusuale per fare le scale arabe: scoprire che attraverso una ricerca si può arrivare a suonare i quarti di tono, che sono poi quelli che faceva Lester Bowie con l’Art Ensemble of Chicago. Io sono arrivato a quelle cose attraverso la cultura araba, giocando sull’improvvisazione».

Quando si parla con musicisti di grande esperienza, normalmente si chiede che influenza abbia la musica classica nel loro percorso formativo. Nella nostra rivista parliamo spesso di danza contemporanea e molti danzautori ci dicono che il classico non è più così fondamentale nella creazione di opere innovative e di ricerca. È lo stesso anche nella musica secondo te?

«Sì, anche perché mi ha sempre dato fastidio che quando suonavi uno strumento ti dicevano che dovevi andare al conservatorio. Studiare all’accademia non esclude che uno possa essere un talento naturale. A parte gente autodidatta come Jimi Hendrix, anche tra gente sconosciuta puoi trovare, anche per strada, bambini che suonano: è un concetto ormai obsoleto. Ascoltare musica classica è un’altra cosa, io adoro ascoltare musica classica soprattutto in cantina, forse perché entro nel multisensoriale, ci sono delle cose che veramente mi lubrificano l’anima, anche se le sento tante volte mi rendo conto anche di come le sento. L’educazione all’ascolto è una cosa che si è dimenticata, ma per fortuna c’è una rete di gente che sopravvive e che ascolta bene la musica con un buon impianto, con le valvole, i finali i prefinali, il giradischi e il vinile. Io ascolto ancora il nastro, il revox».

Roy Paci, l’umiltà di un artista (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Passando dal vinile al cd, si elogiava la maggiore purezza del suono.

«Assolutamente no! Non condivido! Stai attenta perché questa è una cosa molto ma molto sbagliata! Il cd viene registrato con una compressione che ti permette di ascoltarlo come una botta in faccia molto potente. Nel vinile questa compressione non esiste. I subtoni, che sono poi le armoniche di un suono e che sono le percezioni che uno prova, nel vinile non sono per niente compressi. I suoni digitali non hanno niente a che fare con i suoni analogici! È la possibilità di fruire il suono dall’analogico, quindi da una catena che si utilizza in fase di registrazione con microfoni appositi, nastro valvolare, cose vere non file o plug in, la differenza si sente, nello stesso disco. Il fruitore mediocre pensa al graffio del vinile o della puntina, ma se hai un impianto decente, vintage o moderno, ti assicuro che hai uno shock impressionante. Ai ragazzini che entrano nel mio studio di registrazione, prendo i 4 supporti e faccio sentire l’mp3, il cd, il vinile e il nastro a due pollici, che è proprio il non plus ultra, si rendono proprio conto della differenza! ».

Chiudendo, ti chiedo: per te cosa vuol dire fare arte?

«Vivere bene in pace con se stessi e con gli altri, per me fare arte di qualsiasi tipo affina il carattere e ti rende umano, probabilmente chi non capisce niente di arte è più inferocito».

E quand’è che dici: “Sì, questo è un artista”?

«Quando è umile».

 

nr. 18 anno XVI del 14 maggio 2011

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