NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il jazz: la musica artigianale

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Il jazz: la musica artigianale

Ma anche il rock prevede che ci siano uno stretto contatto col pubblico e una forte artigianalità...

«Con un’unica differenza: che il rock per certi versi è entrato nelle leggi del mercato. Cioè c’è il rock di nicchia, che è quello con cui si parte, e c’è quello che porta le folle mastodontiche, questo col jazz non è mai accaduto. Il fatto che i giovani stiano rincontrando il jazz è molto positivo ma non mi sembra un fatto da valutare, perché il giovane arriva al jazz dopo: parte ascoltando la musica cIl jazz: la musica artigianale (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)he si ascolta oggi, poi il rock, poi si affina ancora di più e arriva al jazz da grande, a 15 anni non ascolti il jazz. È molto più interessante che oggi ci siano molti più giovani che vanno ai concerti: prima il pubblico era di 40enni e 50enni ed è un peccato che una musica così vivace, creativa, dinamica e interessante abbia un pubblico sopra i 30 anni, quando invece, secondo me, c’è un pubblico giovanile che può benissimo ritrovarsi in quella musica. Io mi porrei il problema del vedere questa musica in relazione col periodo storico precedente, cioè anni ’80, in cui il jazz era musica per intellettuali che “se la tiravano”, invece oggi credo che sia profondamente diverso. Sono convinto che molta parte del pubblico che viene ai concerti non sia un pubblico di jazzofili e questo mi fa molto piacere, perché quando mi vengono a dire che non sono mai stati a un concerto di jazz e pensavano che fosse una roba pallosa e invece si sono divertiti, questo lo apprezzo molto di più di quello colto che conosce il jazz e arriva tutto “intrippato” e bla bla bla».

Quando un musicista di altre correnti comincia a fare delle incursioni nel jazz si pensa subito che abbia fatto un salto di qualità o che la sua arte abbia subìto una sorta di evoluzione. Come mai c’è questa idea?

«Secondo me perché si pensa al jazz come a una musica molto ricca, raffinata e complessa sul piano armonico, ed è vero perché mentre un brano di rock lo si può fare con 4 accordi, il jazz è più complicato. Per cui si pensa al jazzista come a colui che sta sul piedestallo, si presume che sia uno colto, nel seno di colui che conosce molto bene la musica e che l’ha frequentata, mentre per fare altra musica non è assolutamente necessaria questa cultura. Intendiamoci: non voglio mettere in piani diversi le musiche, c’è un rock di altissima qualità. come disse Duke Ellington, di musica ne esiste una: quella buona».

Esiste un jazz di qualità inferiore? Se sì, come lo si riconosce?

«Non arriva niente perché quelli che suonano sono dei cani!».

Però ci sono dei grandi virtuoIl jazz: la musica artigianale (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)si che vengono considerati geni e miti assoluti ma a un orecchio meno avvezzo possono non dire nulla. Decidono i critici o il pubblico? Qualsiasi prodotto si proponga, dalla qualità eccelsa a quella infima, ci sarà sempre un pubblico che dirà che è una “figata”.

«Sul palco sei lì, o sei bravo o non lo sei, è uno dei pochi mondi dove non va avanti chi non vale. Poi ci sono gli esempi di quelli che non sono proprio straordinari e che riescono ad andare avanti. C’è poi un altro tipo di musicisti, non è importante solo la bravura ma la costruzione del progetto musicale: ci sono alcuni che non sono dei grandi solisti ma che mettono insieme una grande alchimia, i suoni, le persone, le atmosfere. Secondo me è molto difficile stabilire. C’è un jazz diciamo leggero, forse questo sì, un po’ più commerciale, in cui non c’è ricerca nel linguaggio, un po’ come nell’arte contemporanea: c’è l’arte di ricerca e quella che deve piacere così la gente si compra il quadro».

Spesso vediamo che il jazz si fonde con la musica etnica. Non c’è il rischio che si perdano però dei tratti peculiari sia da entrambe le parti?

«Il jazz si fonde sempre più con qualsiasi musica ed è storicamente sempre stato così, è una musica molto curiosa e spugnosa, si andrà sempre più verso una sorta di “musica una” pur mantenendo le divisioni di generi. Per cui anzi penso che la capacità del’artista, oggi, sia di trovare linfa altrove, altrimenti cosa suoni?».

 

nr. 19 anno XVI del 21 maggio 2011

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