NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Dario Brunori: “Scelgo quello che mi emoziona e mi diverte”

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Dario Brunori: “Scelgo quello che mi emoziona e mi

Per te l’ironia è molto importante, eppure nelle tue canzoni c’è spesso una vena malinconica. Diciamo che la satira è una forma di sarcasmo corrosivo nei confronti di situazioni spesso molto critiche: che rapporto c’è tra ironia e malinconia, secondo te?

«Secondo me è la faccia diversa della stessa medaglia. Almeno per quanto mi riguarda, io uso l’ironia in modo strumentale per stemperare quello che sto vivendo, sia a scopo terapeutico, per sentirmi meglio, sia perché sono convinto che alla fine non ci siano questi drammi così grandi, li rendiamo grandi noi perché consDario Brunori: “Scelgo quello che mi emoziona e mi (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)ideriamo l’intera esistenza come se il mondo fosse tutto intorno a noi. A me piace ridere anche di me perché mi immagino in situazioni di eccessiva tristezza e poi mi rendo conto che sono inezie rispetto a ciò che sei, in una logica di universo nel tempo e nello spazio, e quando prendi coscienza ci fai anche un po’ un sorriso sopra alle cose che ti capitano».

Nelle tue canzoni racconti delle storie che sembrano dei piccoli film, anche l’atmosfera ricorda molto certe colonne sonore. Il cinema è fonte d’ispirazione per te? Ci sono registi che possono ispirare musicalmente più di altri e in che modo?

«Guarda, in questo disco in modo particolare. Io sono un novizio del cinema, non sono un esperto, mi sono appassionato negli ultimi anni e la tournèe aiuta molto in questo, lo dico spesso, perché nel furgone passiamo tante ore e spesso abbiamo dei film da guardare. Mi piace molto la corrente del Neorealismo italiano e sicuramente nella stesura del nuovo album c’è stata l’influenza di alcuni film come “Miracolo a Milano”, “Ladri di biciclette”, alcuni documentari pasoliniani come “Comizi d’amore”, Fellini, De Sica, Monicelli».

Cinema italiano degli anni ‘50 e ‘60 diciamo

«Sì mi piace molto quello, perché trovo che ci sia un vero connubio tra qualità, per cui messaggio artisticamente di contenuto e di spessore e la capacità di veicolare dei sentimenti molto popolari, mi sembra l’ottimo compromesso tra l’essere popolare e il fare arte».

In una recente intervista hai detto che non ti piace molto l’analisi sociologica dei fatti di cui parli ma più che altro racconti ciò che vedi. Selezionare il materiale su cui lavorare non è già una sorta di scelta che definisce una presa di posizione, in qualche modo, o quantomeno un’influenza della società che ci circonda?

«Sicuramente sì, ma la selezione però dipende dall’ottica con cui viene effettuata: io faccio una selezione emotiva, non su una base celebrale, non è uno schema che io utilizzo perché io voglio fare una denuncia, per esempio, sul precariato. Scelgo quello che mi emoziona e mi diverte, che mi stimola: alcune canzoni di questo album le ho messe dentro perché mi divertono o perché mi procurano una gioia, sicuramente c’è un lavoro a posteriori ma non è fatto con l’idea di voler comunicare a tutti i costi. Mi piaceDario Brunori: “Scelgo quello che mi emoziona e mi (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica) anche il fatto che spesso le cose che dico possano avere dei risvolti inaspettati e questo mi arriva da terzi, farmi scoprire cose che sono dentro le canzoni e di cui neanche io ho tanta consapevolezza. Spesso i giornalisti pensano che una persona che scrive abbia una lucidità estrema in quello che fa ma non è sempre così, a volte diventa un veicolo e mio mi vedo più così».

Tu sei uno di quei cantautori che hanno un pubblico prevalentemente femminile. Secondo te in cosa si riconoscono le donne che scelgono di ascoltare la tua musica?

«Secondo me alcune cose di questo nuovo cantautorato tirano fuori dei risvolti maschili che sono vicini, una sorta di fragilità, non una manifestazione di forza che siamo educati a tirar fuori. Il fatto di mostrare le proprie debolezze e anche il fatto di scrivere cose non eccessivamente complicate in un modo non banale, secondo me attrae perché le donne non hanno i filtri che hanno i ragazzi quando vedono un concerto, hanno un approccio lieve, leggero, un occhio che non è basato sull’aspetto tecnico, non hanno le barriere che spesso i ragazzi hanno nel giudicare le cose. Nel panorama alternativo gli uomini prendono tutto molto più sul serio».

 

nr. 25 anno XVI del 2 luglio 2011

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