La stagione della prosa del Teatro Astra di Schio si è aperta con la pièce di teatro civile “Chi ha paura muore ogni giorno”. Protagonista dello spettacolo, il magistrato Giuseppe Ayala, amico e collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Lo spettacolo è tratto dal suo libro e sul palco, con la collaborazione dell’attrice Francesca Ceci, racconta gli anni di attività al tribunale di Palermo, le indagini svolte negli Stati Uniti e in Sud America, l’amicizia con i colleghi assassinati. Pochi gli elementi scenici: delle sedie,un albero di magnolia, simbolo della lotta alla mafia, e uno schermo sul quale vengono proiettati dei filmati di repertorio. Una storia, che pur essendo raccontata anche con termini tecnici necessari, è riuscita a commuovere profondamente il pubblico in sala, che alla fine dello spettacolo ha salutato il dottor Ayala con una totale standing ovation e un lungo applauso.
Come mai, a parte il libro, ha pensato alla forma teatrale per raccontare la sua storia?
«Devo dire che non ci ho pensato io ma mia moglie, che è un’appassionata di teatro e di teatro civile. All’inizio ero un po’ perplesso poi ho pensato che si poteva provare e vedere come andava. Ha funzionato, perché è diventato il mio secondo lavoro: abbiamo fatto 45 repliche l’anno scorso e 45 anche quest’anno».
Ormai è diventato un attore!
«Non lo voglio dire perché non voglio rubare il lavoro a chi lo fa sul serio! Però c’è un riscontro e sono soddisfatto».
Sono stati fatti film e fiction: nella percezione del pubblico, il successo di questa pièce integra il lavoro delle fiction oppure supera l’impatto emotivo?
«Secondo me questa è una cosa un po’ diversa dalle fiction, per la semplice ragione che chi la racconta l’ha vissuta in prima persona. Non voglio fare graduatorie, assolutamente, però non capita spesso di rivivere una storia, anche importante,attraverso le parole di chi l’ha vissuta: è la ricostruzione più fedele. La fiction inevitabilmente deve cedere alle logiche della fiction, ci mancherebbe. Qui c’è vita vissuta».
La forma scenica del reading è diversa da quella del teatro di narrazione: lei sul palco racconta la sua vita in un periodo caratterizzato da eventi che hanno segnato profondamente l’immaginario, non solo italiano. Anche nel teatro civile, a volte, vengono utilizzati degli accorgimenti artistici. Quali sono gli elementi creativi che secondo lei coadiuvano il racconto?
«Secondo me sono molto importanti i filmati, perché danno la possibilità di vedere Caponnetto, Falcone, Borsellino. Penso che dal punto di vista dell’emotività dello spettatore sia molto importante; poi per il resto non ci sono particolari accorgimenti. Il mio è un racconto e non vuole essere altro che questo, forse l’inserimento di questi filmati lo completa anche dal punto di vista della concretezza del ricordo, si vedono le persone di cui parlo e non è poco».
Il titolo dello spettacolo riporta una frase di Borsellino. La mafia e la camorra sono radicate ovunque ma qui al Nord si tende ad avere più timore degli immigrati. Di cosa hanno paura gli italiani?
«Questo è un problema molto complicato, ma faccio una considerazione: il Veneto è sempre stata una regione con un tasso di emigrazione altissimo perché, nel Nord, era la più povera. Poi, per merito dei veneti, è incontestabile, è diventata ricca e si è capovolto il meccanismo: da regione di emigrazione è diventata di immigrazione. Questo, è chiaro che è un fenomeno che pone una serie di problemi, che sono quelli dell’integrazione, fondamentalmente. Però penso che col tempo le questioni che si sono poste saranno gradualmente superate. Come anche i nostri, quando andavano all’estero trovavano un sacco di problemi, col tempo si sono perfettamente integrati anche loro. Quindi noi siamo un paese di giovane immigrazione e scontiamo il prezzo della gioventù. Piano piano le cose si aggiusteranno, io sono abbastanza fiducioso».