NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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“Chi ha paura muore ogni giorno”, parola del giudice Ayala

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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“Chi ha paura muore ogni giorno”, parola del giudi

ayala (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Lei, in questa pièce non racconta solo l’eccellenza professionale ma soprattutto la levatura umana e il forte senso di amicizia che c’era tra voi. Si potrebbe pensare che la certezza di essere dei bersagli porti all’isolamento e alla disgregazione. Invece voi eravate molto uniti perché, come lei dice nel testo, sentivate la paura l’uno dell’altro e insieme vi facevate coraggio. Come si sopporta e come si sopravvive all’alienazione data da questo tipo di vita?

«Noi siamo stati molto aiutati, come dico sempre io e ne sono convinto, dal fatto che eravamo molto legati tra di noi, con Falcone avevo una frequenza che almeno quattro sere a settimana stavamo assieme. Quando capitano momenti difficili nella vita, e capitano a tutti, la cosa peggiore è doverli affrontare da soli. Io non so, se fossimo stati ciascuno di noi soli, come li avremmo affrontati. Il sentirsi, soprattutto nella condivisione con gli altri, ci ha molto aiutati. Io ricordo la paura che abbiamo provato ma, per quanto possa sembrare strano, il fatto che ci volevamo bene, che eravamo uniti, che condividevamo anche i successi, questo non va dimenticato, ci ha molto aiutati. Io non mi sento né un eroe né un “superman”, sono uno a cui è capitato di vivere un’esperienza di vita indubbiamente molto particolare e l’ho fatto».

In Sicilia negli ultimi decenni si sta diffondendo, soprattutto tra i giovani, un forte senso di antimafia. Come mai invece ci sono ancora persone indifferenti, quando invece anche a livello di istituzioni e di iniziative si sta facendo moltissimo?

«Sono sacche di timore e paura, mentre i giovani, in quanto tali, hanno più coraggio ed entusiasmo, hanno capito il problema e molti si sono ritrovati assieme anche in associazioni di volontariato. Per alcuni adulti, ma non generalizziamo mai, c’è questa latente paura, ma le posso garantire, da siciliano, che la situazione nella società civile della Sicilia di oggi, non è paragonabile a quella di 20 anni fa, è tutta un’altra storia. Quindi anche i semi della speranza ci sono tutti».

venerdi (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Come mai, secondo lei, in Campania, a parte il “fenomeno Saviano”, non avviene lo stesso o quantomeno non è così radicato?

«Credo che anche li ci siano dei pezzi di società civile. Io conosco poco la Campania e non voglio avventurarmi in diagnosi su un corpo che non conosco, devo dire onestamente che anche io ho la percezione che sia meno che in Sicilia ma non glielo saprei spiegare».

Lei è a tutti gli effetti un sopravvissuto. Gira l’Italia raccontando non una semplice storia ma la storia a tutti gli effetti. Lei ha dei riscontri diversi a seconda delle varie zone del Paese?

«Onestamente devo dire di no. Il pubblico viene sempre numeroso. Anche il libro, che ha venduto molte copie, ha avuto una distribuzione omogenea dal Trentino alla Sicilia. Forse diciamo che le occasioni sono più nel Centro Nord che non al Sud, ma probabilmente è un problema di soldi».

Ci sono dei personaggi storici che lasciano un segno nella cultura e nell’immaginario, anche estetico, ispirando gli artisti. Sta già succedendo con Falcone e Borsellino?

«È probabile. Questo succede a tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, nel caso di Paolo e Giovanni per come sono stati uccisi, così giovani, diventano dei simboli e il simbolo crea sempre una curiosità di tipo artistico ed estetico, è fatale».

Lei nel testo accenna al fatto che la mafia è un problema ormai secolare. Oggi si assiste a una rivalutazione e a una riscoperta di certi aspetti storici legati all’Unità d’Italia e molti studiosi ritengono che la mafia e la camorra abbiano avuto campo libero proprio dopo la caduta dei Borbone. Lei cosa ne pensa?

«Quello che è sicuro è che c’era anche prima. Quando Garibaldi arrivò in Sicilia nel 1860, la mafia la trovò e ne fu anche aiutato, perché i latifondisti ce l’avevano coi Borbone, gli misero a disposizione i mafiosi perché guardavano con fiducia ai Savoia. Se già c’era quando arrivò Garibaldi vuol dire che c’era anche ai tempi dei Borbone, non è che nacque quando Garibaldi mise piede a Marsala. Poi non c’è dubbio che abbia avuto un ruolo, diventando abilmente una componente organica del sistema di potere non soltanto siciliano, naturalmente non di tutto il potere, ma almeno dei settori che più direttamente interessavano. La storia della politica italiana è accomunata da compiacenze nei confronti del sistema mafioso ed è una costante che dura da 150 anni, questa è la mia ferma opinione e non sono il solo a pensarla in questa maniera».

 

nr. 39 anno XVI del 19 novembre 2011

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