NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Come imparare a vivere nel limbo

È la storia dei rifugiati in attesa di ricevere lo status politico dopo la domanda di asilo – Le peripezie di un nigeriano che vive a Valdastico assomigliano a quelle di decine di altri cittadini extracomunitari che pur formalmente in regola con la legge non hanno personalità riconosciuta, non possono lavorare e rischiano al 40% di vedersi rifiutati e rimpatriati – Ne abbiamo parlato a In Piazza

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Come imparare a vivere nel limbo

Come imparare a vivere nel limbo (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)(g. ar.)- Come si vive così? Come imparare a vivere nel limbo? Avendo bisogno di tutto, non vedendosi riconosciuto neppure lo status giuridico col quale si dovrebbe rimanere in Italia, quello di rifugiato politico con diritto di asilo; vivere le proprie giornate di una quasi carità che per molti non porta da nessuna parte perchè il rischio, più che consistente, è quello di vedersi rifiutata la domanda e ritrovarsi così al punto di partenza: non più nel limbo di chi non è né carne né pesce, ma anzi direttamente verso il baratro della dichiarazione dello stato di clandestinità con destinazione rientro in patria affidata all'autorità italiana. In Piazza si è dedicata al tema dei rifugiati politici chiamando a parlarne due amministratori comunali, Alberto Toldo sindaco di Valdastico e Giovanni Giuliari assessore della giunta di Palazzo Trissino, e poi Igor Brunello, legale che assiste i rifugiati per conto della Caritas vicentina, e Emmanuel Okigbo, giovane nigeriano che fa parte del contingente assegnato dopo lo scoppio delle ostilità in Libia alla provincia di Vicenza e da allora ancora in attesa di una risposta alla sua domanda di asilo.

Proprio questo è il nocciolo della questione. Le domande vengono esaminate da due commissioni che hanno sede a Verona e a Gorizia. Per molti mesi la percentuale di risposte positive è stata per Verona attorno al 40% mentre a Gorizia ha faticato a raggiungere il 10%. In questo quadro la realtà vissuta dai richiedenti asilo politico è a dir poco surreale: lo stato di “rifugiato in attesa di riconoscimento” è tale per cui praticamente non si può fare nient'altro che aspettare e sperare. Nessun lavoro possibile, soggiorno obbligato nella sede assegnata, appena qualche interesse culturale che è possibile coltivare, come andare a lezione di Italiano, salvo poi rendersi conto che la spada pendente potrebbe anche precipitare rendendo nulla perfino questa semplicissima oltre che legittima aspirazione. Emmanuel Okigbo ha raccontato che pur non mancandogli la fiducia in una conclusione positiva della sua vicenda la situazione di forte incertezza nella quale si trova da mesi non gli lascia molto spazio per l'immaginazione. Se la commissione risponderà picche dovrà essere espulso in quanto automaticamente dichiarato in stato di clandestinità e la sua meta non sarà più quella che avrebbe potuto essere in tempo di pace, cioè la Libia dove aveva un lavoro regolare, ma la Nigeria, cioè il suo paese di origine. E l'avvocato Brunello ha del resto ben descritto questo vivere nel fondo dell'incertezza testimoniando molte altre situazioni simili, tutte peraltro convergenti sugli uffici della Caritas vicentina. Chi è in questa condizione, spiega il legale dell'associazione di via Torretti, rischia di non avere alcuna prospettiva e di ritrovarsi direttamente al punto di partenza, quando non addirittura a prima del punto di partenza.

Ora il problema più vicino, supplementare, è determinato dalla scadenza dei termini per le domande e per la permanenza in Italia di chi vive così; l'amministrazione corrisponde ai Comuni una indennità che tuttavia cesserà di avere effetto alla scadenza stabilita. A meno che un decreto non modifichi le regole che permetteranno di mantenere questa situazione fino alla fine dell'anno o al massimo al prossimo febbraio. Né d'altra parte ci si può attendere che proprio le amministrazioni comunali, una volta di più tartassate nelle loro aspettative dall'ultimissima manovra del governo, possano addossarsi le spese ed il peso di un mantenimento che a rigore di regole diventa irregolare in termini dopo le scadenze previste. Che fine faranno i rifugiati politici in Italia?

L'impressione è che se non se la filano rapidamente appena conosciuto il responso negativo della commissione che esamina il loro fascicolo, non avranno altre porte a cui bussare e dovranno così rassegnarsi a ritornare in patria, quale che sia lo stato dei rapporti con il cittadino che vi avevano lasciato e che ritroverebbero inevitabilmente.

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