NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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La pittura ha le gambe lunghe

Intervista a Toni Vedù che ha pubblicato una raccolta di illustrazioni che raccontano con umorismo e ironia la storia dell’arte

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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La pittura ha le gambe lunghe

"L'arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati" scriveva, con la penna pungente tipica del genio sarcastico, Leo Longanesi, giornalista, editore, disegnatore e umorista tra i più scomodi che l'Italia abbia avuto. Ma nel novero dei non chiamati non rientra di certo Toni Vedù, l'artista vicentino che troviamo in questi giorni in libreria con la sua più recente collezione di illustrazioni "La pittura ha le gambe lunghe (150 anni di arte moderna in 150 vignette)". Una raccolta di disegni che raccontano la storia dell'arte con il sorriso, con il piglio umoristico, a tratti irriverente, che, come ben sa chi lo conosce, contraddistingue la sua opera.

“Tutte le cose, anche le più serie e drammatiche, hanno un lato comico, umoristico, buffo, ridicolo". Così scrive l'autore nell'introduzione. «Quasi sempre è quello di spalle - prosegue - o uno scorcio sghembo e asimmetrico, uno squarcio che si apre improvviso e inaspettato nella massa. Non è la visione frontale insomma, così come la foto tessera non è la realtà più interessante di me, di tutti voi. E questo lato comico bisogna andarselo a cercare osservando l’oggetto, il tema, la situazione, dalle sue più diverse e impudiche angolazioni, e nei momenti meno indicati. E tutti i temi sono buoni di essere visti così. Anzi, più sono tremendamente importanti e più la cosa funziona. La morte per esempio. Adoro l’umorismo macabro. La mia prima operetta giovanile incompiuta fu un libretto di vignette in bianco e nero su una novantina di modi diversamente comici di impiccarsi. Si intitolava Sursum corda ed era dedicato alla mia morosa di allora. Mi stupisco ancora che mi abbia sposato lo stesso».

La pittura ha le gambe lunghe (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Dunque secondo Vedù l'arte si prende troppo sul serio?

«Se c’è un momento in cui presta il fianco, ma che dico il fianco, la fronte, il collo, la pancia e altri organi più o meno sporgenti, ad una presa in giro è proprio quella del moderno e del contemporaneo, quella dell’appena ieri e quella dell’oggi oggi. Quella degli intellettualismi, quella del modernismo ultra esclusivista e del caos snob della scena internazionale, espressi, oltre che nelle quotazioni stellari, nel rigoroso linguaggio del critichese che si dilata in direzioni infinite e sfuggenti agli stessi interpreti, vuolsi artisti vuolsi addetti ai lavori. Il compito attuale dell’arte è di introdurre il caos nell’ordine, diceva Theodor Adorno e infatti il bello è che il caos paga, è figo, di successo. Da quando è stata inventata, l’arte contemporanea non ha conosciuto crisi: è lei la crisi».

Vedù, che ne pensa di quella frase di Longanesi? L'ha presa come spunto per il suo libro?

«Per l’arte continuo a pensare ci voglia una specie di vocazione. Come per fare il medico, l’insegnante, l’avvocato, e magari pure il vignaiuolo. Non bastano passione, interesse, volontà. È una questione “de manego”. E questo lo dico proprio per aver fatto l’insegnante di disegno e per stare tuttora insegnando l’ acquarello in accademie per adulti. E quindi per essere praticamente vissuto in mezzo a coloro di cui, e sono tanti, parla Longanesi. E infatti, nella seconda parte del libro, dedicata allo Stato dell’Arte ci sono parecchie vignette a questo riguardo».

La pittura ha le gambe lunghe (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)E perché ha citato nel libro la frase del poeta rumeno Tristan Tzara (peraltro fondatore del Dadaismo) "L’arte non è una cosa seria"?

«Tzara, come gli altri intellettuali Dada, lo diceva provocatoriamente, quando la provocazione aveva ancora un senso e una forza, in contrasto con l’Arte ufficiale, pomposa, sussiegosa, compresa di se stessa. Io l’ho inserita a mo’ di incipit del mio libro per il suo significato più letterale, se non è seria vuol dire che è comica, funzionale al mio lavoro. Quella di Tzara è, come si direbbe qui a Vicenza, una maciada, la boutade de un maciòn, che detto poi di un artista, ha anche un certo suo senso».

In una delle vignette lei raffigura a suo modo il Surrealismo: Magritte, Dalì, Mirò, Tanguy e dice che piace al grande pubblico quindi: "Il sonno della ragione genera mostre". Ecco, parliamo di mostre, sulla stampa giorni fa c’erano articoli in polemica col fatto che oggi, anche in Veneto, una mostra non si nega a nessuno…

«In effetti, tutti fanno mostre, professionisti e non, bravi e non, raccomandati e non, sponsorizzati e non, giovani e non, artisti e non. In vana attesa di essere notati, di contare qualcosa nel dorato mondo dell’Arte. Anche perché l’Arte Moderna e Contemporanea ha reso più difficile distinguere l’Arte dalla Fuffa, assunta anche questa, spero transitoriamente, a dignità d’Arte. E qui finiamo per tornare al concetto espresso da Longanesi».

Lei raffigura anche il Graffitismo e la Street Art, come "arte metropolitan giovanile che interviene bombolettando su vagoni e pareti urbane. Ma sapere come si chiami non vi farà incazzare di meno se vi ritrovate la casa con un vorticoso ghirigoro argento metallizzato". Cosa dire di questa nuova mania?

«Questa cosiddetta arte dei graffitisti mi ha sempre dato un po' fastidio a dir la verità. Certo sono un sorpassato, un passatista, ma tutti questi svolazzi rococò fatti con le bombolette, queste scritte afasiche piene di melismi grafici mi urtano, mi comunicano un senso di disordine più che d’allegria. Anche qui vale l’aforisma di Longanesi: la maggior parte di questi fanciulli che spargono le loro pisciate cromatiche sui muri delle nostre città non sanno cosa dire e questo niente non lo sanno nemmeno dire. Guardatevi invece gli interventi di un certo Bansky, inglese, che va bombolettando anche lui sui muri della città, ma artista vero, spiazzante, ironico, comunicativo, perfino civile».

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