Quest’anno avete messo delle poesie nel programma di sala per suggerire delle impressioni utili all’ascolto. Spesso gli artisti dicono che la cosa più importante è che l’evento artistico emozioni. La musica classica, e quella classica contemporanea ancora di più, è un linguaggio difficile da capire. Una conoscenza tecnica, almeno basilare, del linguaggio col quale si entra in contatto non è favorevole a una percezione più articolata? Le emozioni saranno più ricche nel momento in cui si hanno delle nozioni.
«Sì, assolutamente: l’istruzione, la formazione della persona come animale sociale, passa attraverso le arti e riuscire a capire il processo compositivo di Mahler, Mozart, Beethoven o Bach permette di ottenere dei nuovi parametri di valutazione. Anche se spesso il concetto di musica-emozioni, la reazione emotiva, si usa come valore universale di valutazione. Non è così: Beethoven non ha scritto “Per Elisa” per farti sentire bene o innamorato ecc., lui descriveva il cosmo, era una voce che con dedizione, autorità, talento, genio si rivolgeva all’umanità per dire qualcosa di importante. Sono anche convinto che l’artista è una sorta di profeta senza un incarico religioso: ha davvero la responsabilità e la possibilità di vedere la bellezza che gli altri non riescono a distinguere e per questo è capace di vedere più in là, nel futuro, ma parallelamente alla dimensione vissuta da tutti. Io penso che la musica, lo sappiamo da Pitagora e tutti gli altri, abbia molti punti d’accesso. Quello della risposta emotiva è quello preferenziale e facilitato e questo rende il linguaggio della musica sia complesso che molto facile. “Il cuore della musica” non era tanto dare dei principi didattici attraverso i quali le persone potessero immaginare quello che accadeva all’interno della sala da concerto, ma più che altro un modo per convincere il pubblico a cominciare a parlare dell’arte, della bellezza e della musica classica, che non sono discorsi ad esclusivo appannaggio e riconducibili a chi sa di musica».
Il successo dell’esecuzione della suite per “Psycho” e poi Mozart: si può pensare che la sinfonica siano Mozart, Beethoven ecc. però poi ci sono dei giovani o contemporanei che all’estero furoreggiano, ma che in Italia vengono poco o per niente rappresentati. Parlando di lirica, un’opera come “The Death of Klinghoffer”, per un orecchio abituato a “Tosca”e “ La Traviata”, quella musiche possono sembrare poco melodiche. Come si fa passare il pubblico da “La Traviata” a “The Death of Klinghoffer”?
«Introducendo un concetto che secondo me non è stato ancora completamente esplorato in Italia, cioè il fatto che la musica moderna non è atonale, aritmica e amelodica. La musica di “Psycho”: grande ritmo, grande centro tonale, grande forza drammatica e grande capacità artistica rappresentativa. Anche se ovviamente, adesso, i linguaggi musicali si sono moltiplicati e andiamo dalla completa sregolatezza del linguaggio teorico musicale fino a un tipo di scrittura in qualche modo pedissequo a quello che era 100 anni fa. Vaclav Nehlybel, Gerald Finzi o Ralph Vaughan Williams, compositori fino agli anni ’60, come mai Ligeti non viene eseguito o poco eseguito? Lì ci sono questioni sia di marketing che di tradizione sinfonica. Per eseguire Ligeti ci vogliono degli ensemble molto maturi e la situazione socio economica non permette che gli ensemble siano così solidi; ce ne sono pochi in Italia e questi pochi devono assicurarsi che ci sia anche un lavoro di “socializzazione” della musica che comunque l’orchestra stabile deve assolvere. È un compito assolutamente improrogabile. È anche lì un’opera di investimento e di coinvolgimento. Ho impressione che in Italia ci siano moltissime realtà sinfoniche e cameristiche e vanno identificati i centri di assoluta eccellenza, senza dubbio secondo me dando priorità ai centri nei quali vengono adottati principi di gestione e management trasparenti, che ottimizzano tutte le forze che si impegnano nei confronti del sociale, della scuola e della musica nuova. Ci sono alcuni parametri che vengono dettati dai ministeri della cultura mondiali: a fronte di un determinato tipo di investimento vogliono che tu riesca a sviluppare determinate caratteristiche. Questi parametri valutativi vengono dati dagli enti erogatori in Italia, ma molto spesso non includono caratteristiche tipo: quanti giovani compositori sono stati inclusi nella programmazione oppure quanti giovani artisti sono stati fatti suonare».