(g.ar.)- I livelli della falda in tutta la provincia sono bassi come non era mai accaduto prima, i problemi di rifornimento si faranno a breve scadenza quasi invalicabili,m c'è addirittura il pericolo che tutta la macchina della produzione agricola subisca uno stop brusco quanto rovinoso a causa della impossibilità di portare a termine le colture, con particolare riferimento a quelle che come il mais richiedono un imponente impiego di irrigazione nei tre mesi cruciali tra giugno ed agosto.
Questo è il quadro emerso nel corso della trasmissione che In Piazza ha dedicato appunto al problema dell'acqua che non c'è. A parlarne abbiamo invitato Angelo Guzzo di Acque Vicentine, Antonio Nani del Consorzio Alta Pianura Veneta, Lorenzo Altissimo del Centro Idrico di Novoledo e Giustino Mezzalira di Veneto Agricoltura.
Diciamo per sintetizzare la consistenza della trasmissione che il ragionamento ha girato soprattutto attorno a cinque punti che mettiamo in colonna proprio per amore di sintesi:
1) dove andiamo a rifornirci?
2) che rimedio c'è alla situazione gravissima di oggi?
3) l'agricoltura sarà costretta a cambiare indirizzo alle colture (il mais divora quantità industriali di acqua tra giugno e agosto)
4) occorrono riserve che senza i bacini non si fanno e le opposizioni incrociate per varie ragioni continuano
5) dobbiamo aspettare la prossima alluvione?
Lo sfondo che domina la scena a in qualche modo interviene su tutti e cinque i quesiti appena descritti -siano o no domande- è manco a dirlo quello della mancanza totale e assoluta di prevenzione. Esattamente come accade per le alluvioni che normalmente colgono di sorpresa e provocano danni economici sempre rilevanti quando addirittura non uccidono persone, la constatazione immediata, quasi elementare, riguarda la realizzazione mai effettuata di quei bacini di raccolta delle acque che oltre a salvare dalla rottura di argini e inondazione delle campagne contribuirebbe a mettere da parte il bene-acqua in previsione di tempi magri, proprio come quelli che stiamo vivendo oggi.
Il problema vero è che dopo l'alluvione del 2010, dopo le promesse di rimedi a breve termine, dopo che tutti hanno riconosciuto l'esigenza di produrre finalmente un intervento di risanamento del territorio creando appunto le vasche di laminazione e i bacini di raccolta, in realtà sono cominciati i lavori soltanto per uno di questi siti, dalle parti di Caldogno, mentre non ha avuto alcun seguito il progetto allargato che era stato presentato dopo la paura del novembre di due anni fa.
Per quanto possa sembrare una contraddizione in termini, un paradosso vero e proprio, la stessa emergenza di oggi, per carenza di acqua, eguaglia e forse supera quella di ieri, quando si sono lamentati danni enormi per eccesso di acqua.
Il risultato è che siamo davvero alla vigilia di decisioni gravissime. Che cosa faranno gli agricoltori che fondano sulle granaglie e in particolare sul mais la loro produzione per accumulare mangime da destinare al bestiame? Tra giugno e agosto come si sa utilizzano quantità enormi di acqua che richiedono normalmente ai consorzi. E quale consorzio sarà in grado di rispondere alla domanda di materia prima da parte dell'agricoltura? Si dovrà addirittura cambiare la filosofia delle colture?
A queste domande abbiamo cercato risposta e naturalmente siamo andati ad incappare in una serie di punti interrogativi supplementari i quali non fanno altro che acuire la sensazione di una crisi in perenne fase di autoriproduzione. Come il tipico caso del cane che si morde la coda. Senza riuscire a raggiungerla...