NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Ma forse la scuola non vuole il week-end...

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Ma forse la scuola non vuole il week-end...

Metodi e formule evidentemente diversificati per cui sono diverse anche le esperienza: evidente che ad una formula tradizionale che privilegia il momento dello studio il pomeriggio con relativamente poche ore al mattino non si può chiedere di autoinfliggersi la tortura di un aggravio di ore…

PIERANGELO PERETTI (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)PIERANGELO PERETTI- Parlando con i genitori si conoscono queste diverse esperienze. Sappiamo che ci sono queste esperienze soddisfacenti, ma ci sono anche difficoltà in altre scuole che non siamo quelle con 32 ore. L’idea che abbiamo avanzato come semplice proposta dopo che la consulta studentesca l’ha considerata e nella prima riunione al Comune l’ha anche rilanciata: perché non rivedere la modulazione del calendario scolastico trovando un accordo con la Regione. Il problema è di tutti per cui la Regione deve essere coinvolta. Rimodulare vuol dire anticipare l’inizio di qualche giorno e poi incidere nel corso dell’anno su quei periodi di feste in calendario che si possono sacrificare e possono dare un risultato positivo con orari prettamente diurni, senza spostare niente al pomeriggio e senza avere necessità di strutture di accoglienza che peraltro non esistono. Qualsiasi scuola all’interno dell’autonomia può modulare il proprio orario ovviamente. Potrebbe essere questo il metodo da studiare e concordare.

EDOARDO ADORNO- La soluzione potrebbe essere praticabile ma bisogna anche dire che ci sono difficoltà: per mantenere tutte le ore che non vogliamo perdere servono più di quindici giorni ulteriori di lezioni, vale a dire 90 ore circa. Se è vero che un paio di volte si può ridurre l’orario non lo si può fare riducendo ulteriormente su una riduzione già fatta in precedenza perché in quel caso restano insoluti i problemi appena descritti. Se vogliamo avere tutto il monte orario occorrono come ho detto 90 ore perché sei ore al giorno per quindici giorni danno quel risultato. Si può toccare l’inizio peraltro blindato dalla Regione, ma non si può toccare la fine scuola perché ci sono gli esami di Stato. Bisogna ritoccare in profondità e occorre avere tempo e modo per trovare tutte le soluzioni possibili. L’inizio al 1. settembre farebbe recuperare 10 giorni, ma ne mancherebbero sempre altri cinque.

GIANNI ZEN (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)GIOVANNI ZEN- D’accordo su tutto. Però voglio portare l’attenzione sull’altro problema, quello dell’investimento prioritario che va fatto sulla scuola e l’istruzione. Se siamo davvero convinti che la scuola deve essere il primo investimento è chiaro che bisogna puntare tutto sulla qualità. Ci troviamo di fronte a ragazzi che stanno maturando strutture conoscitive che sono più complesse rispetto alle esigenze di una scuola che guarda anche ai risultati. Pensiamoci dieci volte prima di concentrare solo nella logica del tempo compresso quello che è il bisogno di aiutare i ragazzi a maturare non solo le conoscenze ma anche le competenze. Quel che si troveranno davanti nel lavoro o nello studio universitario richiede questa prudenza, perché saranno misurati non sul tempo scuola ma sui risultati che avranno maturato. Questa preoccupazione non è molto avvertita a livello sociale; dopo di che ce n’è un’altra: la settimana corta raddoppia il sabato sera, il venerdì diventa un’altra serata di uscita in libertà, con bar pieni, livelli alcolici preoccupanti. Pensiamoci bene, non è solo un dato organizzativo a cui pensare. All’estero c’è la logica di campus con l’organizzazione delle scuole in rete che offrono molto. Noi non abbiamo tutto questo…

ADRIANA CAMPESAN- Gli sballi possono avvenire anche gli altri giorni, è una questione sempre personale e di famiglia. Non ho questa preoccupazione anche se capisco che per le famiglie si può porre. Noi vediamo nel tempo che i risultati sono buoni sia per l’università sia per il mondo del lavoro indipendentemente dal numero di giorni che hanno fatto a scuola ogni settimana.

La presenza di più scuole superiori in provincia per evitare che tutto si concentri su Vicenza come la vedete? e che utilità avrà mantenere ancora in attività scuole specializzate in settori che la produzione vicentina non riconosce più come adeguate alla propria realtà?

EDOARDO ADORNO- Rovescerei il ragionamento. Tutta Europa fa la settimana corta e molte scuole medie qui da noi fanno altrettanto: perché tanta difficoltà nelle scuole superiori nostre? Già abbiamo detto molto ma è il tipo di scuola che costituisce il nocciolo della questione. Il professore è in cattedra a fare la sua lezione, presenta i contenuti, spiega, tendenzialmente persino nella scuole tecniche il veicolo più importante è la parola. Le scuole europee sono più brave a fare lavoro in gruppo e a formare diversamente con competenze cooperazione e pratica dando modo dio reggersi su un orario ad esempio di sei ore. La tendenza è questa per cui qui è molto più difficile pensare a una riduzione.

ANTONIO MINGARDI (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)ANTONIO MINGARDI- Ci sono segnali di cambiamento, c’è una lezione dinamica, ci sono le lezioni sperimentali con utilizzo di computer portatili eccetera, cerchiamo di far cambiare la didattica. Va da se’ che la contrazione di fondi per la scuola e sue finalità formative crea problemi crescenti.

ADRIANA CAMPESAN- Quanto meno le ore di laboratorio contribuiscono a risolvere la questione puntando un po’ meno sulla lezione cattedratica… Le competenze tecniche sono indispensabili perché comunque vada la offerta di lavoro c’è sempre: le aziende del settore tessile che sono in sofferenza come comparto servono al controllo della qualità perché qui è rimasta la progettazione il controllo e la vendita cioè la testa e la coda della produzione. Difatti si continua a formare personale qualificato.

ANTONIO MINGARDI- I licei per orario sarebbero i più facilitati mentre in realtà per la necessità delle ore di studio hanno bisogno di altro. Qualcosa sta cambiando ma naturalmente questo apparente paradosso rimane dov’è.

GIOVANNI ZEN- Insisto sulla questione del primo investimento che lo Stato dovrebbe dedicare alla scuola. Comunque parliamo i profili di uscita diversi: l’85% dei licei vanno all’università, il 30% dei tecnici vanno in questa direzione, il 18% dei professionali li seguono; c’è una grossa differenza. Dobbiamo attrezzare i ragazzi ad affrontare l’università sia per lo studio che per l’ingresso poi nelle professioni. Il tempo scuola deve essere garantito, ma bisogna sapere che è la qualità da mettere in evidenza, per cui anche i trasporti dovrebbero essere pensati in funzione della scuola, non viceversa. Sono interrogativi che dobbiamo cominciare a porre a noi e agli altri. Il vero politico come diceva Degasperi è quello che si pone il problema non delle prossime elezioni ma delle prossime generazioni.

EDOARDO ADORNO- Torno al trasporto pubblico; se la scuola è centro anche la mobilità lo è e l’uso responsabile del trasporto pubblico diventa una questione sociale vera e propria. Le aziende hanno a disposizione delle risorse che determinano i bilanci.

ANTONIO MINGARDI- Infatti; come ha dimostrato la Provincia due anni fa tutta la questione ruota attorno alle decisioni politiche e all’indirizzo prioritario o meno che si attribuisce ad un investimento specifico.

ADRIANA CAMPESAN- Sono contenta che nelle nostre scuole la scelta è sta ponderata al nostro interno da organi collegiali e tutto il resto senza condizionamenti per la questione dei trasporti. Abbiamo fatto quello che ci pareva al meglio del livello anche europeo e secondo il nostro orario.

EDOARDO ADORNO- Una scelta del tutto legittima ma ha un costo…

ADRIANA CAMPESAN- No, perché poi recuperiamo quelle ore apparentemente perse per riduzione di orario, riguarda anche i docenti. Calcoliamo i tempi dei recuperi e li facciamo nell’arco dell’anno conteggiando con precisione la necessità del recupero.

ANTONIO MINGARDI- Non sono convinto che anche con la settimana corta per tutti il problema sarebbe risolto perché tutti andrebbero in prima fascia e l’uscita sarebbe uguale per tutti per cui la questione dei trasporti rimarrebbe nei termini su cui abbiamo già ragionato un paio di volte nel passato. La questione deve avere una riflessione ulteriore e ripeto: non sono affatto sicuro che tutto si risolva anche se tutte le scuole decidessero per il sabato a casa.

 

nr. 12 anno XVII del 31 marzo 2012

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