NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Come eravamo quando eravamo campioni

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Come eravamo quando eravamo campioni

Ma questo fattore morale a quanti altri sport si può applicare? Quali altri sport sopportano tranquillamente avvenimenti anomali come appunto il rugby? Succederebbe nel calcio che da parte sua ha fallito il terzo tempo in modo clamoroso?

Come eravamo quando eravamo campioni (Art. corrente, Pag. 4, Foto generica)ALBERTO CERIONI- Parlando di dirigenza, come diceva prima Nicolai, è chiaro che i contributi allo sport sono scarsi. Il terzo tempo è stato imposto al calcio e questo stride molto considerato che il rispetto delle regole dovrebbe essere acquisito e non forzato. Il calcio è un mondo mediatico dove tutti ti aspettano al varco e dove quindi si crea una tensione personale e di gruppo che travolge. Il protagonismo va combattuto insegnando ai ragazzi ad essere generosi con il gruppo e con quello che fanno. Se andiamo indietro nel tempo fino all'epoca Farina e anche un po' dopo sono stati prodotti fior di giocatori anche dal settore giovanile, fino a Rabito, a Paolo Zanetti, a Maggio. Dopo non è uscito più niente. Se fai scuole di calcio dove si pratica l'esclusione per metodo, guardando solo al risultato, tenendo fuori i ragazzini meno dotati per agonismo è chiaro che il risultato non lo avrai mai. Toto Rondon me lo spiegava benissimo dicendo anche che se è vero che su un gruppo ci sono pochi talenti, coltivando tutti alla stessa maniera, insegnandogli a giocare uno per l'altro, si otterrebbero grandi risultati. Facendo davvero una squadra che è l'entità che occorre per poter dire di aver fatto bene un certo lavoro. Basta ricordare il Vicenza del Viareggio con Berto Menti allenatore. Quelli erano i riferimenti che tra l'altro sono stati alla base del Vicenza in serie A per quasi trent'anni. Oggi la cultura dei soldi è a senso unico.

FEDERICO FORMISANO- I soldi sono la base, ho un sito dove vengo interpellato da giocatori della categorie inferiori che cercano posto a migliore trattamento economico. Nei dilettanti si fa lo stesso mercato della A e della B con gente che comincia da una parte e finisce anche nel corso della stessa stagione in un'altra società.

UMBERTO NICOLAI- Pensiamo che i ragazzi di vent'anni di quei tempi erano un'altra faccenda rispetto a oggi. I ragazzi anche quelli che non giocano si fanno tutte le loro esperienze, ma è chiaro che rispetto a noi vivono una realtà lontana anni luce. Pensate a uno di vent'anni che viene strapagato con il taglio mentale di un giovane di oggi: si creano dei mostri. Guardate Balotelli che è un grandissimo calciatore ma che sicuramente non è mai stato aiutato a crescere mentalmente; al calcio interessa solo la parte bassa dell'uomo quella che fa gol, non gliene frega niente a nessuno di capire che testa ha un ragazzo. Una volta i giocatori restavano in società anni e anni e rifiutavano di andare al Milan o alla Juventus e così diventavano bandiere. Oggi è impensabile, tutti i ragionamenti seguono altri percorsi, ci sono i procuratori, ci sono gli interessi e qualsiasi ragionamento passa per l'ingaggio e per gli equilibri tra grandi società quando si tratta di spostare un giocatore da un club ad un altro.

ALBERTO CERIONI- Mi ricordo l'agenda di lavoro di Donina che non stava fermo un minuto nella giornata. Lo spiegava lui stesso: valgo poco, se non corro non giocherò mai. E difatti ha corso come un pazzo per anni, poi è arrivato Guidetti e naturalmente è stato sostituito dal valore diverso, però...

Come eravamo quando eravamo campioni (Art. corrente, Pag. 4, Foto generica)UMBERTO NICOLAI- Certo che si rischiava di più e ci si divertiva anche. Ora c'è il giudizio e il giudizio fa paura. Pensate i ragazzi a scuola, quante situazioni drammatiche per un giudizio negativo, per una bocciatura. Alle spalle di un tempo c'erano valori che aiutavano ad autodifendersi mentre la società di oggi tende a creare o i perfetti a tutti i costi oppure quelli che non vanno bene così come sono. Il rugby insegna molto bene questo genere di cose. Dal calcio se ne vanno centinaia di giovani proprio perché dirigenti e allenatori giudicano solo sulla base del gol e non si preoccupano di altro. Prandelli forse rappresenta ancora un tipo di intelligenza che sa gestire il gruppo in modo umano e pensando in positivo.

GIOVANNI ALI'- Il fatto che i ragazzi entrino in crisi per gli insuccessi rafforza ancora di più la nostra tesi secondo cui bisogna avere più di una squadra per ogni categoria,. Nel mini non ci sono selezioni, fino ai 14 anni giocano tutti senza problemi. Dopo si creano più squadre per fascia di età perché tutti devono poter continuare l'attività e la base deve essere il più larga possibile; nell'ultimo concentramento abbiamo messo in campo tre squadre per ogni categoria; salendo dai 14 ai 20 abbiamo due squadre per ciascuna categoria,. Questo dobbiamo fare per salvare la voglia di stare assieme dei ragazzi e senza deluderli.

FEDERICO FORMISANO- Torno al tema del quando eravamo campioni. C'erano i giocatori bandiera che restavano a oltranza: Savoini Volpato Menti Campana Mimmo Di Carlo, Lopez e così via; erano giocatori attaccati alla società e preferivano stare qui. Una delle cose venute a mancare è il riferimento a personaggi di questo genere. Gorlin Pollini e Peruzzo, per tornare alla pallacanestro, sono state tre ragazze che hanno rivestito proprio questo ruolo. Per anni sempre qui e una identificazione vera anche da parte della gente che seguiva il basket. Oggi il Vicenza ha Martinelli che è qui da quattro anni ed è il caso, l'unico, il massimo pensabile attualmente e peraltro paragonabile appena a quelli del tempo passato. Forse l'ultimo da questo punto di vista è stato Schwoch, ma stiamo parlando di un altro caso isolatissimo. E questa è la realtà, non è che si possa cambiarla.

 

nr. 24 anno XVII del 23 giugno 2012

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