NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il “mio” Olimpico

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Eimuntas Nekrosius

Eimuntas Nekrosius (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Parliamo ora della restituzione del workshop da lei diretto relativo alle “Lettere a Lucilio” di Seneca. C’è una scena in cui voci di vari paesi e tempi lontani si intersecano tra loro: l’italiano, il latino e l’inglese, le culture si incrociano non solo sul piano geografico ma anche su quello temporale. Di solito il ponte tra culture appartenenti a periodi storici diversi è stato per secoli per lo più l’immagine, come la pittura e poi la fotografia o il cinema perché la letteratura non è sempre stata accessibile a tutti, solo in tempi recentissimi, per via dell’analfabetismo, che tra l’altro in alcuni luoghi è ancora una realtà. Lei per creare un ponte ne tempo tra le culture contemporanee e passate ha scelto una radio che utilizza per dare corpo alla voce del tempo passato, per esempio i latini. Come mai la radio?

«Potrebbe essere un’interpretazione ma è un frammento molto piccolo. Noi forse volevamo giocare con il concetto delle onde, che esistevano da sempre in diverse forme nella natura, anche come intuito o sensazioni che trasmettiamo gli uni agli altri. C’erano 1000 anni fa e ci sono adesso, le cose sono sempre le stesse e volevamo giocarci con un po’ di humour, perché posso essere serio quando leggo l’opera a casa ma a teatro si gioca e a volte ci si diverte».

Infatti è una scena che ha molto divertito il pubblico, così come un’altra scena in cui due personaggi dicono quanto sia d’avanguardia vedere un teatro di cui non si capisce niente, meno si capisce e più d’avanguardia, ancor di più se si tratta di classici latini rifatti da uno straniero. Il discorso messo in scena tra i due sembra autoironico. È forse una risposta a qualche critica che c’è stata?

«No, direi che non c’era sottotesto in quel senso lì, semplicemente un po’ di humour: anche nelle cose più serie e drammatiche fa da contrappeso e quindi mi piace molto usarlo ed è molto importante».

Come è stato lavorare con gli attori italiani? Noi italiani abbiamo moltissimi accenti, dialetti e lingue locali diverse, lei ha tenuto conto di questa cosa?

«Sì, avevo presente ma abbiamo avuto pochissimo tempo per le prove: abbiamo provato solo 6 giorni. Mi sono accorto che alcuni parlano in maniera diversa o molto velocemente oppure non articolano tanto bene per cui dicevo sempre di esprimersi nella maniera più chiara possibile e di articolare bene. Non so se siamo riusciti in così poco tempo ad avvicinarsi ad un italiano comune, che è una lingua così bella, però questa voglia ce l’avevamo tutti».

Come ha scelto gli spettacoli per la rassegna e che tipo di pubblico si aspettava?

«All’inizio non conoscevo il pubblico di Vicenza, non avevo nessuna idea di che pubblico spettarmi per questo tipo di rassegna. Adesso che l’ho conosciuto un po’, mi sembra un pubblico molto serio, con una base accademica forte, che se ne intende di letteratura e che va a vedere le cose ben preparato. Però per quanto riguarda il programma non posso ancora dire se ci siamo riusciti o meno perché la rassegna non è ancora finita, abbiamo il “Caligula” in questi giorni e per il momento non metterei né punto interrogativo né esclamativo ma puntini di sospensione sia per me stesso che per gli spettatori».

Lei è uno dei grandi maestri internazionali del teatro di ricerca. Esiste un momento in cui un artista o un regista sentono di doversi fermare o che comunque si è raggiunto un punto in cui non si può andare oltre?

«Certo che questo punto esiste ma nessuno vuole riconoscerlo nella sua esistenza, non è facile riconoscerlo e dire che questo è il punto e basta, bisogna essere molto onesti con se stessi. Bisogna capirlo ma in realtà nella vita non funziona così perché magari si è influenzati da colleghi e collaboratori, nascono nuovi progetti, vogliono mettere in scena ancora delle cose e credono in te, appoggiano tante aspettative in te. Questo è molto bello però dall’altra parte bisogna tener presente che questo punto esiste, anzi, prima uno lo dice e meglio è sia per se stessi che per le persone con cui si lavora, solo che non è facile dirlo. È un’ottima domanda questa che mi ha fatto: funziona così in tutte le arti, non solo nel teatro. Bisogna avere coraggio».

 

nr. 37 anno XVII del 27 ottobre 2012

Eimuntas Nekrosius (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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