NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Futuro e lavoro: che sia tempo di migrare?

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Futuro e lavoro: che sia tempo di migrare?

Per il sindacato è questa la strada possibile e preferibile per considerare la crisi con altri occhi e mettendo a punto altre misure?

Futuro e lavoro: che sia tempo di migrare? (Art. corrente, Pag. 4, Foto generica)MARINA BERGAMIN- La mia idea corrisponde a quella di Pasetto. Dopo decenni di imbambolamento sul piccolo è bello ci si è accorti che invece bisogna fare anche nel nostro territorio un passo essenziale e oggi tutti diciamo basta al nanismo e diciamo viva la media impresa, magari anche la grande, se c’è, perché hanno vantaggi che i piccoli non possono avere a partire dalla capitalizzazione dalla ricerca dalla innovazione: tutti terreni molto delicati. La quantità di PIL che pubblico e privato investono nella ricerca è metà dei paesi europei, per noi 1%. È evidente che tutto questo lo può fare chi ha forza, non i piccoli industriali o gli artigiani. L’idea la lanciamo sempre anche con le associazioni imprenditoriali. È possibile che le imprese nostre più strutturate, che potrebbero fare differenza, si immaginino di diventare delle locomotive per tutto il resto del sistema? La concia ha presentato un progetto che ha a protagonisti tre aziende storiche con un grande bisogno di recuperare produttività. Non vorremmo che la via d’uscita fosse quella di moltiplicare i contratti precari. La strada è altra. Magari proprio quella della qualità che si ritrova con la qualità del lavoro, delle produzioni e del prodotto; le grandi imprese anche vicentine potrebbero fare qualcosa di più che continuare a guardare nel proprio orto privato ignorando tutto il resto e contribuendo così a depauperare grandi patrimoni professionali. Basta un giro nel nostro territorio per capire dove e quanto abbiamo disperso anche in termini di buona occupazione.

GIANFRANCO REFOSCO- La crisi che stiamo vivendo con molte aziende che chiudono o rischiano, dovrebbe diventare occasione per un salto di qualità culturale nel nostro territorio. Ci si riesce dal lato imprenditori aprendo le aziende, non rimanendo chiusi all’internazionalizzazione. Apertura anche al contesto territoriale, ne abbiamo viste troppe aziende chiudere perché non hanno avuto la forza di parlarsi con il vicino di sede, gomito a gomito. C’è anche però necessità di maggiore qualità per le relazioni sindacali: renderci conto prima di tutto che ci sono aspetti normativi nella flessibilità del lavoro e altri che invece attengono al funzionamento delle aziende. Vanno combattuti gli abusi sul lavoro flessibile, ma se pensiamo che basti cambiare la legge ci sbagliamo di grosso. C’è una evoluzione in corso che richiede una dose di flessibilità tutta da gestire. Come diceva uno svedese la flessibilità è come un bus che attraversa la città sempre pieno ma con dentro un ricambio molto forte. Il dramma della flessibilità è diventare precarietà cioè non avere sbocco. Per un giovane fare esperienza è essenziale. Le aziende del vicentino che vanno bene sono quelle dove ci sono relazioni sindacali avanzate, forte partecipazione dei lavoratori alle dinamiche organizzative, non a quelle strategiche, ma a quelle di funzionamento dell’impresa; vuol dire cambiare cultura da entrambi le parti, con atteggiamenti diversi per entrambi, con dinamiche non conflittuali e di condivisione di obiettivi, percorsi e soluzioni che alla fine pagano. In alternativa non c’è uscita. Chi è in difficoltà oggi è caratterizzato dalla non apertura verso tutti, dipendenti, mercato esterno, crescita, disponibilità verso l’esterno. Confrontarsi come fanno i giovani con altre realtà rappresenta il modo. Dobbiamo incentivarli e farli poi tornare perché il ritorno può fruttare molto anche a noi se siamo disposti a imparare e conoscere cose nuove.

MATTEO COCCO- Sicuramente questo tessuto produttivo non favorisce ricerca e sviluppo e questo mercato del lavoro è limitato ed ha necessità di una legge che incentivi la sperimentazione, gli sgravi fiscali, ecc. Se esco da un percorso universitario o tecnico professionale e trovo una offerta dalla Germania, trovo anche grandi incentivazioni, componenti di formazione formidabili, prospettive precise: nel momento in cui mi creo questa vita all’estero che non è sempre così automatico e facile da affrontare, è chiaro che mi inserisco in una dimensione diversa e stimolante mentre quella che ho lasciato non lo è. Chiaro che non si torna indietro in moltissimi casi. È una scelta quasi obbligata. Per me su questo dovrebbe essere fatta una riforma del mercato del lavoro, ma non una riforma superficiale, invece una riforma che dia ai giovani vere possibilità di crescere nel campo delle competenze.

Futuro e lavoro: che sia tempo di migrare? (Art. corrente, Pag. 4, Foto generica)EGIDIO PASETTO- Aggiungo che dopo la laurea e su quella base un giovane può andare a sperimentare la propria competenza dove c’è una offerta di percorso formativo adatto. Il problema è capire quanto questo meccanismo sia universale o da considerare in sola uscita. Qui con noi ora non c’è un rappresentante degli imprenditori ma ci siete voi del sindacato: credo che bisognerebbe riesaminare un po’ tutta la nostra storia per capire come e quando abbiamo sbagliato perché qualcosa è stato sbagliato.

MARINA BERGAMIN- Resta il fatto che la tendenza di oggi è dei nostri che vanno fuori mentre non c’è pericolo di vedere una corrente di senso contrario, di ragazzi stranieri che vengono in Italia per il loro percorso formativo. Ci sarà pure una qualche anomalia se i nostri aspirano ad andare all’estero mentre non ci sono stranieri che aspirano a venire qua nelle nostre università né nel nostro sistema produttivo. È un problema.

MATTEO COCCO- Quando decidiamo è anche in base a scelte politiche dei paesi dove andiamo: a Berlino è tipica questa situazione. So che qui ho una università cara, mentre in Germania la laurea specialistica è gratuita, con appena 500 euro all’anno ho tutti i servizi in abbonamento. Questo è investire sui giovani. Teniamo presente che in Italia, dal 2001, quando si parla di scuola, istruzione e giovani si parla di tagli e bene al di là del dato statistico, mentre siamo in totale controtendenza in Europa perché siamo dietro tutti. Ci siamo sentiti dire e ripetere una infinità di volte che tutto questo tagliare è obbligatorio perché si tratta di costi. E io da giovane che si sta per laureare come faccio a pensare che è più giusto restare qui e non considerare invece quel che mi viene offerto altrove?

 

 

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nr. 38 anno XVII del 3 novembre 2012

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