NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Futuro e lavoro: che sia tempo di migrare?

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Futuro e lavoro: che sia tempo di migrare?

Come incide la politica del governo nel momento in cui mette mano proprio all’apprendistato in quale misura e con quali modo?

GIANFRANCO_REFOS (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)GIANFRANCO REFOSCO- C’è stata una riforma sul mercato del lavoro su cui ognuno dà il suo giudizio, ma non è questa che rilancia il numero dei posti di lavoro disponibili. Occorre invece che interagiscano meglio la domanda e l’offerta di lavoro. Servono politiche industriali e di settore che aumentino il numero dei posti disponibili, unico modo per uscire dalla crisi. Il tema dell’apprendistato vede una serie di misure adottate anche su richiesta sindacale che mirano a non lasciare che le imprese aggirino ancora le normative e non rispettino le regole. La normativa dell’apprendistato è stata costruita dai sindacati insieme con le associazioni degli imprenditori, si è colta quella che era una nostra richiesta di tenere l’apprendistato e cioè che diventi davvero la strada maestra per l’inserimento nel mondo del lavoro. Perché l’apprendistato mette insieme le attività lavorative e quelle formative vere e proprie.

MARINA BERGAMIN- Penso anch’io che sia la strada maestra, ma bisogna metterci d’accordo. Ci sono trasformazioni tra apprendistato a tempo del lavoro dove si matura una professionalità precisa: in Veneto le trasformazioni sono sempre più basse di percentuale, circa il 30%, che vuol dire che uno su tre viene confermato mentre gli altri chiudono l’esperienza e poi possono ricominciare perché hanno tempo per riprovarci fino a 29 anni. È un tema che riguarda sia la crisi indubbiamente ma anche la cultura di alcuni che vedono nell’apprendistato un modo per avere a disposizione sempre lavoratori nuovi e freschi. Strada maestra purché bene utilizzata, che non sia un modo per eludere e pagare meno i ragazzi che lavorano.

EGIDIO_PASETTO (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)EGIDIO PASETTO- Le domande di adesso sono su consolidare competenze esistenti, percorsi di consolidamento delle competenze, dalla formazione individuale a quella collettiva e questo riguarda le aziende che tirano di più. Nel Veneto ce ne sono e sono importanti dentro un quadro complessivo difficile ma con eccellenze di grande valore. Poi ci sono interventi verso la maggiore efficienza, quando si individua uno scostamento tra capacità di produrre e risultato e occorre un esame. Il riesame organizzativo significa rivedere i processi, snellire l’organizzazione, semplificare le strutture, cioè il classico meccanismo di questi ultimi due o tre anni. Si concentrano problemi di sistema e microproblemi aziendali per cui in questa situazione si creano riduzioni di personale e questioni di sistema e di sviluppo che magari non sono state mai affrontate negli ultimi vent’anni. Diciamo che si analizza lo stato febbrile di un’azienda: se trovi un 36,5 come massimo non ci sono conseguenze speciali, sei in grado di intervenire sull’efficienza e basta, magari si stringe la cinghia in qualche settore… Se la febbre è a 38 qualche volta prendi una situazione per i capelli prima che affondi, oppure cerchi all’ultimo momento di non farla affondare.

MATTEO COCCO- Credo che tutti questi ragionamenti puntino su una questione fondamentale che non è solo quella di trovare un lavoro; se è o non allettante per un giovane andarsene, dipende dalla questione di qualità del lavoro; in Francia e Germania chi inizia un percorso lavorativo viene seguito, ha la certezza di una continuità nel tempo e di una formazione in cambio; il nostro sistema universitario ci dà conoscenze teoriche e specifiche di alto livello ma non ci mette di fronte alle competenze pratiche, è un sistema costruito su un modello teorico che poi chiede alle aziende la praticità. Per noi ora è impossibile arrivare ad una formazione di fronte a tempi di costruzione che vanno da una settimana al massimo di qualche mese; non c’è prospettiva stabile e nemmeno c’è la possibilità di migliorare le proprie conoscenze. Questa crisi la paghiamo tutto sommato proprio noi perché il calo di posti di lavoro è significativo e la tecnica dell’assunzione a chiamata sempre più rilevante verso i giovani non permetterà nessun investimento nel capitale umano che come mi hanno insegnato a scuola dovrebbe essere l’elemento principale su cui fondarsi.

EGIDIO PASETTO- C’è assenza della grande azienda e la diminuzione del suo ruolo in Italia. Questo è un punto. Ci sono medie aziende, un migliaio, e per il resto è frantumazione totale del sistema manifatturiero con occupazione media di 9 persone. Che rapporto c’è tra questo sistema ed una laurea in ingegneria? Il problema è quindi la dimensione nella realtà italiana: non si risolve niente se non ingegnerizziamo produzione di servizi e produzione industriale, non andiamo da nessuna parte. Il mio mondo della consulenza è fatto di migliaia di aziende: la mia azienda che ha 100 collaboratori è unica in Italia, tutto il resto è delle multinazionali. La produzione di qualsiasi tipo di servizi, dalla persona alla logistica, deve essere ingegnerizzazione. Le multinazionali arrivano dove non c’è forza locale e ora tre posti su quattro sono infatti delle multinazionali. L’alternativa è la consulenza individuale che però è un fatto comunque limitato e isolato con una capacità di resistenza sul mercato che ha i suoi limiti proprio nella dimensione. Altro punto è l’artigianato come riferimento di occupazione alta come rapporto tra lavoro intellettuale e lavoro manuale con competenze di base molto elevate e una gestione di sistemi integrati di energie. Servono tecnici con la laurea attraverso quali percorsi se non attraverso aziende che sono incubatori di lavoro manuale che dà alimento al sistema di una circolazione territoriale di qualità. La quantità dell’occupazione si affronta anche dal lato della qualità dello sviluppo.

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