NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Futuro e lavoro: che sia tempo di migrare?

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Futuro e lavoro: che sia tempo di migrare?

Studente di economia e per sei mesi in Spagna all’università per uno stage del progetto Erasmus. Questa è una prima esperienza, con quali prospettive?

MATTEO_COCCO (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)MATTEO COCCO- Esperienza utile di studio e vita, compreso imparare una lingua nuova. Serve moltissimo e credo sia consigliare a tutti perché al di là della realtà che viviamo è andare a vedere come funzionano le cose altrove, fuori da qui. Io che faccio Economia a Padova ho visto conosciuto e sentito studenti che arrivano da tutto il mondo, Diciamo che aiuta a farsi una idea del proprio futuro e capire come spendere il periodo ad esempio postuniversitario. Una delle cose che ho principalmente notato è che all’università di Barcellona oltre ad aver respirato un clima di conoscenza internazionale ho visto studenti del tutto consapevoli che sanno benissimo cosa succederà dopo il proprio percorso di studio e cioè che avranno la possibilità di mettere in campo quelle conoscenze per il loro futuro. Non è così nella nostra università, almeno in quella che è la mia università.

Università italiana che forma poco o che cosa succede di diverso?

EGIDIO PASETTO- Spesso arriva dagli imprenditori una polemica verso la scuola che non forma. Rifiuto questa polemica che ritengo sui generis e di scarso valore storico. Non ho mai visto che la scuola forma per il lavoro, quando è successo mai che dalla scuola escano persone adeguate al posto di lavoro. Se parlo delle facoltà scientifiche lasciando perdere quelle umanistiche con relative deviazioni numerosissime che poi si vede che non servono a niente; parliamo di facoltà scientifiche: sono mediamente di buon valore anche se le si considera a livello europeo; quest’anno attraverso l’agenzia Eures promossa dalla Commissione europea dal 93, solo dalla Germania e solo al Politecnico di Torino hanno chiesto fino al 30 di settembre 250 ingegneri. Se fossimo così scarsi non ce li avrebbero chiesti. Il tema semmai è cosa bisogna fare rispetto a un lavoro, al lavoro, che è completamente cambiato. Instabile, internazionalizzato dalla globalizzazione, ha problemi di qualità dell’occupazione. Quanto deve durare il percorso formativo? Quello che ha appena detto Cocco è da prendere come indizio utile: il percorso continua anche dopo la laurea, sapendo che dopo la prospettiva è di quattro o più anni di percorso formativo e a quella condizione si ragiona. In Europa ci sono punti di formazione al lavoro più avanzati rispetto ai nostri e per questo pescano dagli studenti e laureati italiani. Tutti quelli che fanno l’Erasmus, appena laureati, cercano all’estero un lavoro, in Europa, ma anche in Nord America.

Ci sono nuove cifre di media nazionale che arrivano dall’Istat: 10.9% di disoccupati e 35% di giovani senza lavoro: come si affianca al discorso di Pasetto?

MARIA_BERGAMIN (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)MARINA BERGAMIN- I numeri sono quelli nazionali come in ogni media coprono tutto senza distinguere tra il peggio e il meglio. Il tasso di disoccupazione giovanile e femminile nel sud è di gran lunga superiore rispetto al nostro e del nordest per cui per fortuna i nostri dati sono diversi da quelli medi dell’Istat. Siamo ad un tasso di disoccupazione che Veneto Lavoro fissa al 7% ma che diventa del 17 scarso quando si parla della fascia giovanile, cioè dai 15 ai 24 anni. Per quel che riguarda le donne l’occupazione è ancora buona da noi ma sicuramente in calo. La crisi è più maschile che femminile nel senso che soffrendo fortemente un settore come quello meccanico è inevitabile sia così anche se le grandi ristrutturazioni del tessile hanno già espulso molto e tutto di occupazione femminile. Stiamo meglio, insomma, ma non c’è da stare contenti, né per quantità, né per qualità, Pasetto ha ragione nel dire che si tratta di capire anche la qualità del lavoro. Se entriamo nei dati delle ultime assunzioni in Veneto vediamo che calano i contratti a tempo indeterminato e anche determinato, gli unici che tirano sono quelli precari, a chiamata. In queste fette di mercato del lavoro i giovani fanno purtroppo la parte del leone per cui è dedicata a loro e alle donne questa offerta così frammentaria per una carriera lavorativa. Se noi abbiamo passato tre o quattro posti di lavoro un ragazzo come Matteo potrebbe cambiarne 15 e più. Se la flessibilità è una buona cosa un eccesso di frammentazione non lo è perché non fidelizza al lavoro e non va bene né per i lavoratori né per le imprese. In poche parole non è produttivo. Alle aziende lo diciamo da tempo che l’eccesso di precarietà le farà morire perché ai giovani non si dà quella crescita progressiva di professionalità che fa poi qualità di rapporto. La professionalità si costruisce con la formazione permanente, in questo meccanismo di brevissime scadenze obbligate invece non si può: nessuno investe, né gli imprenditori né i lavoratori.

GIANFRANCO REFOSCO- Tenterei di suddividere la questione in due: prima la disoccupazione dalle proporzioni evidenti dopo la crisi dal 2008, c’è un calo complessivo nel numero dei posti di lavoro esistenti e va affrontato con varie politiche adeguate di sviluppo e occupazione; l’altro problema è più specifico, riguarda il mettere a frutto le opportunità che esistono. Parlare in generale di università non aiuta, parliamo invece di facoltà che danno sbocco tipo ingegneria gestionale che c’è a Vicenza e dove i laureati nel giro di dieci mesi ricevono offerte. Ci sono altre facoltà che non danno possibilità e prospettiva. Il primo tema è questo e va affrontato prima dell’inizio dell’università, riguarda l’orientamento e ancora di più riguarda le famigle prima che gli studenti. Il secondo tema è davvero scottante nel nostro territorio e coinvolge il sistema strutturato di alternanza scuola-lavoro: ci sono buone esperienze di scuole professionali e tecniche ma bisognerebbe che chiunque finisce un corso di studio prima di chiudere faccia almeno una settimana di esperienza in un posto di lavoro. Qui il grosso tema è legato a quanto diceva Marina Bergamin e cioè la necessità di rilanciare fortemente l’apprendistato.

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