NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Margareta e Frà dolcino, amore e libertà

È un romanzo dedicato dall’asiaghese Giancarlo Bortoli alla Federazione dei Sette Comuni e all’antica Libertà, Fratellanza e Decrazia che li univa

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

facebookStampa la pagina invia la pagina

Margareta e Frà dolcino, amore e libertà

Margareta e Frà dolcino, amore e libertà (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"La neve scendeva, scendeva… Mano a mano che Margareta si allontanava, sembrava che un’aura lucente, vivificata dalla danza dei larghi fiocchi di neve, l’avvolgesse proteggendola da ogni pericolo, quasi un globo luminoso dai contorni incerti che si muoveva sopra un candido mantello. Una visione celestiale. Dolcino si sentiva leggero e contento come non mai. Sentiva che il suo corpo era solo dolcezza: in quel momento pensò anche lui al significato del suo nome... Al mattino, una spessa coltre bianchissima e lucente, accarezzata dai raggi del sole nel cielo terso, cancellò ogni preoccupazione, ogni nefandezza e tristezza. Era nato Gesù, il Salvatore, anche tra quelle montagne".

 

Si legge così nella quarta di copertina del romanzo Margareta e Fra' Dolcino – Amore e Libertà – a. D. 1299. dell'asiaghese Giancarlo Bortoli, presentato nei giorni scorsi a palazzo Cordellina di Vicenza, alla presenza dell'autore e di Giuseppe Pupillo, presidente della Biblioteca Bertoliana; di Giorgio Cracco, segretario dell'Istituto di Storia di Vicenza; di Sergio Bonato, presidente dell'Istituto di Cultura Cimbra di Roana e di Pierangelo Tamiozzo che ha eseguito alcuni canti cimbri. Un romanzo che l'autore dedica "alla Federazione dei Sette Comuni e all’antica Libertà, Fratellanza e Democrazia che li univa, nel VII centenario della sua nascita" e che ci porta con la fantasia, anche se ben documentata da approfonditi studi storici, nel XIII secolo, più precisamente nel 1299, quando l’eretico Fra' Dolcino, a causa dell’inquisizione di Guido da Vicenza, fugge da Bologna e trova un primo riparo in un convento abbandonato accanto alla chiesa di Santa Margherita a Rotzo, dove conosce Margareta, una ragazza originaria di Arco. Ciò che lo sorprende in particolare è il modello di vita della gente del posto: la collettività si autoamministra avvalendosi della proprietà comune di boschi e pascoli. Dall’osservazione di questo modello sociale, Dolcino trova indicazioni e conferme dei cardini ideali della setta apostolica. Quelle popolazioni montanare presentano alcune stranezze: si autodefiniscono cimbri, parlano una lingua non compresa né in pianura né dalle genti trentine, mischiano la religione cristiana col paganesimo nordico, conservano un buon ricordo di Ezzelino il tiranno.

È in quel tempo che arriva a Rotzo la famiglia dei Sartori, proveniente da Firenze e alla corte del Vescovo Andrea Mozzi, bandito da quella città e trasferito a Vicenza nel 1295, dopo che il perverso Vescovo muore a Vicenza nel 1296 (fatto citato nella Divina Commedia di Dante Alighieri). Il Sartori sarà uno dei protagonisti della divisione tra le comunità di Rotzo e quelle di Roana. Nel contesto sono descritti gli eventi ordinari e straordinari che accompagnano la vita quotidiana: dall’improvvisa nevicata di fine giugno ai racconti delle storie tramandate; dai dialoghi in cimbro-italiano alla sciamana del luogo; dalla discussione sul concetto di proprietà alla produzione collettiva della calce per riparare il convento di S. Margherita. Intanto si affaccia l’inverno e l’anno del Giubileo, indetto da Bonifacio VIII. Si prospetta la necessità di abbandonare Rotzo e Margareta si trasferisce provvisoriamente ad Arco, mentre gli Apostolici trovano provvisoria ospitalità nel convento delle monache di San Pietro. Il finale lascia aperta la porta ad un secondo volume in elaborazione.

Margareta e Frà dolcino, amore e libertà (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)In occasione della presentazione a Vicenza abbiamo incontrato l'autore. Bortoli, perché ha scelto di ambientare la storia in un lontano passato?

«In generale la mia narrativa trae spunto dal passato e dalla ricerca storica. La scelta dell’anno 1299 dipende dagli eventi descritti in Margareta e Fra Dolcino, come si evince leggendo il libro».

Era il periodo di persecuzione degli eretici, che si rifugiarono tra le nostre montagne per far perdere le tracce. Quali elementi storici ci sono in tal senso?

«La presenza dei Dolciniani è segnalata dagli storici dei Sette Comuni. In particolare è il ritrovamento dei manoscritti dell’Abate Agostino Dal Pozzo riguardanti la storia dei comuni e delle chiese dell’Altopiano, avvenuto tra il 1989 e il 1993, che ha consentito di avere maggiori particolari. Nella storia di Rotzo, si dice che Fra' Dolcino e alcuni suoi seguaci si sarebbero rifugiati tra le nostre montagne, e precisamente nella chiesa di Santa Margherita di Castelletto, ove lo stesso abate segnala la probabile presenza di un antico monastero. Di questo monastero non si ha alcuna notizia. Circa l’antica presenza ereticale, vi sono altre segnalazioni che riguardano anche la Valdastico. Naturalmente il rapporto tra Dolcino e Margherita, e la temporanea presenza dei Dolciniani nella Chiesa di Santa Margherita, ha acceso la voglia di scrivere».

Margareta e Frà dolcino, amore e libertà (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lei descrive la realtà cimbra dopo aver fatto una lunga ricerca storica: cos'era e cos'è ancora oggi?

«Dirlo in poche parole non è semplice. L’identità del nostro popolo era caratterizzata fra l’altro dalla lingua, dai costumi e dall’autonomia. La libertà impregnava lo spirito della comunità. Ciascuno era posseduto da se stesso, unitamente alla Comunità (e un mio racconto di Natale di alcuni anni fa non a caso è intitolato Essere liberi significa possedere se stessi). Ciascuna di esse si governava sia con il diritto consuetudinario che con regole scritte. L’autogoverno si manifestava con le pubbliche vicinie, cioè le assemblee dei capifamiglia e le cariche elettive e anche il rettore della chiesa era eletto dal popolo, come avviene tuttora ad Asiago. La proprietà non strettamente collegata alle famiglie – cioè alle case e alle fattorie – era collettiva e tutti ne potevano beneficiare ma nessuno disporre. Perciò era indivisa e atemporale. Di essa, attualmente, restano alle singole comunità quasi la totalità dei pascoli, boschi e montagne, giuridicamente inquadrati nel diritto di uso civico. Attualmente in molti comuni si registra la volontà di ricondurre alle vicinie territoriali questo ingente patrimonio».

L'Altopiano dunque godeva di una certa autonomia...

«I Sette Comuni disponevano di ampie autonomie, compresa quella fiscale e militare, godendo del diritto di pensionatico, cioè di far pascolare le greggi – nel tardo autunno e agli inizi della primavera – in tutto il territorio del Veneto e anche oltre. Che quella dei Sette Comuni fosse una situazione comunitaria piuttosto particolare lo si evince da un episodio significativo: la visita resa ai Sette Comuni dal Re di Danimarca (quindi dei cimbri) nel 1709. Il conte Velo descrisse al Re, suo ospite, i caratteri essenziali dei Sette comuni. Ma una descrizione più completa di questi caratteri la si trova nelle Memorie Istoriche del citato Abate Dal Pozzo, scritte nella seconda metà del 1700. Molto è stato perduto a causa di eventi internazionali: ad esempio la distruzione della libertà delle vicinie da parte dell’organizzazione Napoleonica, la terribile prima guerra mondiale e l’umiliazione subita dai profughi a causa della parlata cimbra, il nazionalismo esasperato succedutosi, l’ospitalità dell’ambiente fornita alla Resistenza. Di tutto questo rimane certamente lo spirito dell’identità che non è nostalgico. L’affermazione della nostra identità costituisce un programma di sviluppo compatibile delle nostre comunità e del territorio».

Margareta e Frà dolcino, amore e libertà (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

continua »

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar