La sua è anche una storia d'amore, che qualcuno ha avvicinato al celebre libro di Umberto Eco, Il nome della rosa.
«Non è solo una storia d’amore. È anche la storia di un territorio e della ribellione del Cristianesimo delle origini verso quella Chiesa che era dotata di potere temporale e ricchezza. Il paragone con il romanzo di Eco è stato fatto solo casualmente perché questo riferisce della persecuzione dell’inquisizione nei confronti del movimento ereticale Dolciniano. Nulla di più».
Lei è autore di una lunga serie di libri, alcuni anche sui racconti di Natale, ce ne parla?
«Preciso che ciò che mi ha condotto alla narrazione, è stata ed è la ricerca sulla storia dei Sette Comuni assieme al desiderio di fare un dono di Natale il più diffuso possibile. Da quanto ho sinora studiato ed elaborato, ho tratto degli spunti. Togliendo i primi racconti – riferiti al vissuto degli anni ’50, quando da bambini si combattevano battaglie tra le fazioni del paese, con l’uso di archi balestre frecce sassi ed altro ancora – gli altri si collocano in un ambito del verosimile, unito alla fantasia e alle credenze più popolari. I racconti sono sempre stati presentati in un contesto di festa, con la presenza di Mario Rigoni Stern, Sergio Bonato. Luigi Menegatti e altri ancora».
Lei ha conosciuto Mario Rigoni Stern, quanto è attuale ancora oggi il messaggio delle sue opere?
«Rigoni Stern è un grande personaggio. Il suo amore per la natura è attualissimo perché fondato sulla conoscenza, sul sentimento e sulla volontà di rispettare l’ambiente naturale e l’equilibrio ecologico, spesso sconvolti dall’egoismo umano. La mancanza di rispetto porta la natura a reagire, con le conseguenze del caso».
L'Altopiano, come ha detto durante la presentazione, si sta spopolando. Come si vive oggi nei 7 Comuni e cosa manca per stare meglio?
«Si vive con un’emigrazione strisciante e una disoccupazione simile a quella dei dopoguerra. Il fatto è che non ci sono pari opportunità: il costo del vivere e produrre in montagna è più alto rispetto alla pianura e la legislazione non ha ancora fatto giustizia con interventi perequativi durevoli. Lo ha fatto solo per alcuni territori montani collocati ai confini dell’Italia. Ma le radici son ben dure da strappare. L’attaccamento degli Altopianesi alla terra madre è molto forte. A costo di una vita più difficile, la gente desidera e ha bisogno di restare quassù».
C'è il rischio che la nostra montagna sia vista solo come un luogo di villeggiatura e non venga valorizzata come risorsa dalle istituzioni?
«Non è un rischio. È una delle realtà che viviamo».
Qualche tempo fa Asiago e l'Altopiano volevano andare in Trentino... lei cosa ne pensa?
«Penso che l’Altopiano abbia la necessità di pari opportunità, di una perequazione tra il vivere e produrre in montagna e il resto della nazione, così come avviene nelle regioni e province autonome. Le motivazioni originarie di queste ultime – l’essere aree politicamente strategiche e presentare ampie minoranze linguistiche e culturali – credo proprio siano cadute. Non il fatto di vivere nei territori ove la vita è più difficile rispetto ad altri».
Nato ad Asiago negli anni '50, Giancarlo Bortoli ha svolto nella sua vita molte attività. Si è laureato in Economia e Commercio col massimo dei voti. Già nello staff del Ministero del Tesoro, Esperto di Confidi, Dirigente nel leasing, Vicedirettore Generale di Veneto Sviluppo, ha raccolto una notevole esperienza finanziaria. È stato Vice Presidente della Provincia di Vicenza e Presidente della Comunità Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni. Accanto a tutto questo però, la sua passione primaria è sempre stata quella della ricerca storica e della scrittura. Ha pubblicato una trentina di libri.
nr. 43 anno XVII dell'8 dicembre 2012