Le nuove generazioni: lei ha anche un pubblico di giovani, ma diciamo che la fascia che l’ha conosciuta sono quelli di 40-50 anni eccetera, che differenze nota? Come viene vissuto il teatro?
«Io ho un pubblico molto trasversale: per certe caratteristiche mie vengono quelli della mia generazione, poi vengono anche più anziani e poi vengono molti giovani perché sono attratti da un teatro che non ha niente a che fare con quello che vedono quando portano certe compagnie a scuola, in cui tagliano la parte e pensano che recitare per i ragazzi sia una recita di secondo ordine, invece sbagliano perché quantomeno sarebbero la loro pensione. Io mi sono sempre molto dedicato ai giovani, lavoro spesso con loro, faccio laboratori e quindi un po’ di pensione dovrei avercela!».
Però ci sono molte compagnie, anche qui nel vicentino, che sperimentano. In Italia si sta muovendo qualcosa e da quello che mi dicono, all’estero, a volte si sperimenta di più nel teatro ragazzi che non nel teatro convenzionale, o comunque nello stesso teatro di ricerca.
«Questo succede perché molto spesso gli stili sono dettati dai limiti economici e quando hai un limite economico devi inventarti uno stile per supplire alla precarietà. Molto spesso, in questi casi, la fantasia diventa più vivida e quindi rischi e sperimenti».
Artisti e osservatori denotano che c’è un tipo di pubblico che segue un certo tipo di programma e quindi è sensibile a certe cose, poi un altro tipo di pubblico che invece è più manovrabile eccetera. C’è secondo lei la possibilità di creare un tipo di pubblico di massa televisivo, critico, assimilabile al pubblico del teatro e del cinema di qualità?
«Questo è un tipo di discorso che man mano che passa il tempo è sempre più superato: paradossalmente “le 7 sorelle televisive” hanno molti più problemi di noi teatranti perché c’è una dispersione, tra i canali monotematici, il digitale, internet, i dvd, così immensa che il problema del pubblico televisivo non si pone più, è un problema di qualche anno fa. Probabilmente molti attori di teatro sono fermi ancora a pensare che il pubblico sia quello di 10 anni fa, quando regnavano i grandi segnali del’Auditel da parte di questi 7 canali, cosa che non esiste più. Adesso c’è ancora qualche rimasuglio, qualche evento e fenomeno, ma fra 4 o 5 anni il problema è risolto».
Qualche settimana fa ha partecipato alla trasmissione di Fabio Fazio per la commemorazione di Gaber, e ha fatto la canzone “Qualcuno era comunista” in cui eravate lei, Bertinotti e Veltroni…
«Io ho fatto il prologo e l’epilogo e loro hanno fattola parte centrale».
Ha ancora senso oggi parlare di comunismo e di ideologie che sembrano non più tanto adatte a un pubblico appunto così “spalmato”, globalizzato, diversificato?
«Beh quello non parla di comunismo: l’ironia (e autoironia) di Gaber parla di atteggiamenti umani che si ripetono secondo i fenomeni storici che a volte scelgono un’idea per motivi banali, ma non è che parla di comunismo. Infatti dice: “Qualcuno era comunista”, all’imperfetto, per ricordare i comportamenti di oggi, è ben diversa la cosa. È che la gente, a furia di sentire certe cose, “i comunisti! I comunisti!”… è come ai bambini quando gli dici: “gli zingari! Gli zingari!”, gli zingari mica sono tutti cattivi, come non lo siamo noi. È un discorso molto più profondo: purtroppo viviamo in un paese in cui ci si dimentica velocemente chi ha fatto delle grosse malefatte e invece si ricorda in maniera incredibilmente cosciente chi ha vissuto anche con delle contraddizioni, si è esposto, ha pagato non nella sua vita e quant’altro: è un piccolo mood del popolo italiano di dimenticarsi le robe brutte forti, ma ricordarsi i peccati veniali».
Tornando allo spettacolo: come sceglie le musiche e quanto sono importanti per lei?
«Fondamentali. Da quando ho iniziato a lavorare ho sempre lavorato con le musiche, il mio primo spettacolo è stato “Histoire du Soldat”di Stravinsky. Lavoro con la musica: negli ultimi anni sono diventato regista lirico: finita la tournèe qui vado in Cina col Teatro San Carlo di Napoli per una mia regia dell’opera “Il marito disperato”, un’ opera buffa di Cimarosa, e siccome lo spettacolo è dal vivo la musica deve essere dal vivo!».
E a dirigere un’opera napoletana, come si trova da settentrionale?
«Mah sai, io sono nato a Trieste… ma mio nonno è di Corleone! Per cui non ho problemi!».
nr. 04 anno XIX del 2 febbraio 2013