Lei utilizza lo spazio scenico come se fosse un vero attore passivo, ma intessuto nella trama e nell’estetica della vicenda, sia per eredità culturale che per ambientazione storica: i filmati di repertorio, il sipario che crea degli effetti tendina, la struttura architettonica delle quinte che si sviluppa molto in altezza, quasi un riferimento all’architettura gotica delle loro cattedrali, ma anche l’utilizzo della scena mobile, tipica de teatro del ‘600 italiano. Come mai ha voluto una scenografia così viva e in qualche modo avvolgente per voi attori e coinvolgente per noi che viviamo il momento teatrale come spettatori?
«È una scenografia che da dentro godi poco, infatti gli attori l’altro giorno hanno visto il filmato e hanno detto: “che bella!!”, perché loro da dentro vedono i movimenti e i casini e pensano che sia una scena fredda, invece è una scena molto calda sia per la scelta delle luci eccetera. Innanzitutto io penso che il teatro non abbia niente a che fare col cinema. Mi sono divertito a giocare coi giochi teatrali, i trucchi, ho pensato a un teatro di burattini e di figura con questi rulli che richiamano di volta in volta l’ambiente; è un gioco, il teatro. L’iperrealismo cinematografico seconde me non funzionai in teatro, perché il teatro deve lasciare spazio alla fantasia, poi sai che non è vero perché sai che quell’attore lì, dopo, andrà in camerino, invece l’iperrealismo cinematografico ti porta QUASI a credere che uno muoia davvero, ti fa più impressione. Il teatro è metafora, Peter Brooke, che è un grande maestro, quando fece il Tito Andronico, quando tagliavano un braccio veniva fuori un filo di lana rosso ed era meraviglioso molto più che fare finti schizzi di sangue̱».
Lei è un profondo conoscitore dei linguaggi filmici e multimediali nonché di problematiche della rete e della comunicazione: secondo lei in che modo la rete può essere un canale di diffusione del teatro e della cultura delle arti performative? Oggi nella pubblicità e nella diffusione della multimedialità va tantissimo il virale, è possibile applicare la forma del virale anche al teatro secondo lei oppure la televisione rimane ancora l’unico mezzo possibile, sebbene non sempre ben utilizzato?
«È un discorso molto complesso: la televisione in Italia tende a morire perché la generalista è in mano da una parte a Mediaset, che è un’azienda che è invecchiata precocemente, e dall’altra c’è la RAI che è invece è già morta per via di nomine politiche, e glielo dice uno che produce per la rai e che combatte tutti i giorni, infatti mi boicottano continuamente. Io credo, in generale, che la rete funzionerà quando si saranno fatte le regole. Fincher, il regista di “Se7en” ha fatto una serie che va sulla rete, 12 o 13 puntate, 110 milioni di investimento ed è stata un successo, però è a pagamento. Io sono stato fondatore di Video Online, le ho fatte prima di tutti ‘ste robe qua. La rete deve avere delle regole: Google, Facebook devono pagare i diritti. Bisogna chiarire che questi informatici evasori fiscali, per altro, sono tutti in Irlanda, oltre a rubare i dati in rete di tutti noi, e questo andrebbe spiegato ai ragazzini…».
Beh non è che li rubano: “Tu acconsenti che l’applicazione acceda ai tuoi dati personali? SI”
«No! no, perché se lei mette dei firewall sul giochino che c’ha a casa, lei vedrà che non entra più in nessun sito. Lei provi a dire no-no- no perché non voglio dare… la gente no sa questa cosa qua! Ci sono già dei motori di simbiosi che costruiranno il tailoring pubblicitario, perché sono tante e tali le informazioni, che ormai hanno profilato tutti gli utenti e sanno esattamente tutto. Allora se lei non dà l’informazione, non entra in nessun sito, perché meno dà informazioni, meno è interessante. Bisogna spiegare ai ragazzini che chi downloada qualsiasi cosa gratuitamente rompe la filiera della virtuosità tra investimento, artista, costo, ecc ecc. Un po’ lo fa questo Itunes, però fanno anche delle robe… se mi scarico un vecchio disco dei Genesis, l’hanno rieditato loro: se io voglio comprarmi una roba me lo devi dire che hai tolto 8 canzoni su 16, poi prova a chiamare Itunes se ti risponde qualcuno al telefono».
Però nel momento in cui si crea un circolo virtuoso corretto, comunque avrà dei contenuti pubblicitari che accederanno a dei cookies per esempio.
«È molto semplice: delivery e peer to peer a pagamento. Poi decidi di non pagare e allora quando accendi il telefonino vieni subissato. È come la telefonia: vuoi telefonare gratis e ogni 30 secondi c’è uno che ti dice: “compra la porche, il salame, la mela”. Allora uno dice: pago due euro, ma non mi rompi».
Tornando allo spettacolo, nella pièce si parla di un sovrano che vive in un periodo storico difficilissimo e che diventa re perché il predecessore ha abdicato dovendo far fronte alla responsabilità di dover sostenere un popolo numerosissimo e sparso in tutto il mondo visto che c’erano ancora le colonie, tra l’altro il re britannico è anche capo della Chiesa Anglicana. Lei che in questo momento è immerso nella rappresentazione di questo spettacolo, come ha percepito la notizia i questi giorni?
«Del papa? Sono disinteressato perché ho una tale convinzione di complotti in questo Paese che non credo che sia solo spirituale, mi dispiace dirlo. Io sono ebreo e ho fatto una divisione: penso che una cosa sia la fede e una cosa siano gli affari. Quando il Vaticano avrà capito queste cose, le chiese si riempiranno di nuovo perché le chiese sono vuote, questa è la tragedia: tu non puoi mischiare gli affari con la fede, sono due cose diverse. Le consiglio un libro bellissimo, di Thomas Mann, “Considerazioni di un impolitico”, strepitoso, dove spiega perché c’è un accanimento contro la Germania, perché il protestantesimo, cioè la protesta luterana, che è insita nel popolo tedesco contro il modello romanico, cattolico, poi catto-comunista, il peggio dell’Italia, ha devastato il pensiero europeo e lo ha trasformato in un pensiero giacobino, cretino da avvocatucci e giornalistucoli che fanno le polemiche inutili. Il grande pensiero forte, la fede, il grande rapporto con l’etica: lei pensi in Germania un ministro che si dimette perché 40 anni prima aveva copiato a scuola!».
nr. 06 anno XVIII del 16 febbraio 2013