Sul palco fai 7 personaggi, mescoli teatro di figura, cabaret, teatro civile e ci riesci davvero, la gente davvero applaudiva e rideva che non si riusciva nemmeno a sentire cosa dicevi, un trionfo. Tu hai parlato di questi protocolli drammaturgici del regista spagnolo Sinisterra, protocolli matematici, puoi farmi degli esempi?
«Il personaggio “A” si trova a dover scegliere tra la scelta “X” e la scelta “Y”, che sono di vitale importanza. Prima indicazione: il personaggio “A” descrive la condizione presente alla prima persona plurale in presente indicativo. Seconda indicazione: il personaggio si pone delle domande nella seconda persona plurale sulla sua scelta che deve fare; oppure: il personaggio dà degli ordini usando l’infinto del verbo e avanti così. Sono protocolli che tu puoi applicare a qualsiasi situazione. Anche rumori esterni che entrano e cambiano quello che lui sta dicendo, qualcosa dell’ambiente in cui si trova e influisce».
Ed è molto difficile questo metodo da imparare?
«Diciamo che ci vuole lui che te lo insegna, non c’è un libro da cui si può studiare».
Nella pièce sei mattatrice, hai veramente 7 personalità e il ritmo con cui caratterizzi queste suorine è vivacissimo, poi sembra una sit-com, il registro è quello, come hai fatto a mescolare tutto con questo equilibrio?
«Per esempio lì ci sono degli esercizi che lui da. Uno è quello delle mosche, ogni mosca ha una sua caratteristica, c’è quella che ingrandisce ogni cosa che viene detta, quella che fa sempre le domande perché non capisce, una che relativizza. Alcune cose per esempio vengono fatte estraendo: ognuna di loro aveva un numero e a seconda del numero che veniva fuori era lei quella che faceva la battuta. Oppure con un timer, ogni “tot” il timer suonava e anche se una stava parlando doveva intervenire l’altra».
E come fai a servirti la battuta da sola?
«Eh lì c’è il fatto di non costruire i dialoghi, come spesso si fa, in cui uno riesce a fare tutta la sua frase portandola fino alla fine: nella vita reale qualcuno ti interrompe e quindi lavorare su questo continuo essere tu più avanti dello spettatore; quando lo spettatore intuisce dove stai arrivando è il momento di aggiungere e cambiare».
I pupazzi sono molto Tim Burton.
«Un po’ anche nell’altro spettacolo c’era questo. I pupazzi li ha costruiti Elisabetta Ferrandino del Delta Studio per la realizzazione scenografica. Arcangela Tarabotti alla cui opera mi sono ispirata, in “L’inferno monacale” scrive e denuncia la monacazione forzata: lei paragona le monache forzate agli usignoli presi nel vischio o agli uccellini in gabbia e dice che queste ragazze chiuse in convento sono talmente segregate in posti malsani, umidi e freddi che hanno l’aspetto dei morti viventi che la morte, quando sarebbe il momento di liberarle pensa che sono già morte e le lascia lì. Per cui questo loro aspetto così un po’ emaciato deriva da questo. Poi l’ispirazione maggiore è “The birds” della Pixar».
Nell’incontro col pubblico ti sei soffermata sul concetto Dio- donna e l’ipotesi di una società strutturata intorno alla donna invece che sui padri, e Dio che ha avuto un figlio maschio; però per i cattolici la figura della Madonna, della madre è molto importante, in tutto il Mediterraneo specialmente”.
«Io ho fatto questa lettura bellissima che si chiama “Il calice e la spada” di Riane Eisler in cui lei affronta anche con studi di archeologia, come è cambiata la figura del divino, il fatto che in alcune società preistoriche ci sia la grande dea, la grande madre, e di come questa sia più naturale, proprio perché noi vediamo la vita nascere dalle donne, immaginare il potere della creazione in forma femminile. Quindi è stato fatto uno sforzo per portarci a crede in qualcosa di completamente opposto. Lei dice che il culto della Madonna è un segno di qualcosa che resta di quello, nonostante abbiano tentato di svuotarlo in tutti i sensi: se tu pensi anche nell’iconografia la Madonna incinta o che allatta, si è tentato di nasconderlo: perché non è mai stata rappresentata la madonna incinta? La Eisler rivela che quelle cose le avevano capite benissimo, per cui il collegamento tra il ventre della donna, le mestruazioni, il momento del parto, lo avevano. È comprensibilissimo che è la donna che detiene il mistero della nascita».
nr. 10 anno XVIII del 16 marzo 2013