NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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La città e il talento: siamo davvero creativi?

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La città e il talento: siamo davvero creativi?

Ma come può essere il recupero del patrimonio ereditario lasciatoci dai "vecchi" e come può essere il ripescaggio dal passato di quella loro creatività? Ultima parte di Stefani e poi i commenti qui in studio...

La città e il talento: siamo davvero creativi? (Art. corrente, Pag. 4, Foto generica)TONI STEFANI- Ci sono dei processi che si possono ripercorrere indubbiamente, ma ora penso che siamo favoriti paradossalmente dal periodo di crisi. Che cosa sta succedendo? In particolare succede che di fronte alla perdita di potenzialità finanziarie prima decisamente forti siamo chiamati tutti a pensare qualcosa di diverso, in chiave diversa, perfino andando a pescare dentro noi stessi sul terreno che ci è meno abituale e cioè la capacità di lavorare assieme, vincendo l'individualismo irresistibile che è il nostro guaio maggiore. Mentalità e capacità di approccio a quanto ci circonda. Poco importa il settore in cui ci si impegna, importa che lo sforzo sia proprio quello di superare i difetti maggiori del passato e sfruttare gli spunti di creatività innati che emergono oggi specie dai ragazzi più che da noi. La crisi ci insegna in modo nuovo concetti come la cooperazione o il fare squadra...

DANIELE BERARDI- Noi come scuola di recitazione abbiamo una frequentazione in prevalenza di giovani ma anche di molti altri compreso un signore di oltre 80 anni. Nei ragazzi c'è disorientamento, ma il corso o comunque qualunque possibilità di esprimersi assieme agli altri produce in termini di creatività uno stimolo e una strada da seguire per capire e capirsi ed anche per orientarsi meglio nel mondo. Avere capacità vuol dire anche volerle mettere a frutto e questo è appunto il risultato dell'arrivare ad orientarsi. L'invenzione è utile in qualsiasi campo umano, la componente inventiva è quella cosa in più che ti permette il passo successivo rispetto a chi si ferma. Questi corsi quindi anche a prescindere da quel che poi sarà lo spettacolo consistono soprattutto nello scoprirsi e nel capire la propria evoluzione e quella del mondo che abbiamo intorno. C'è sempre una componente di ricerca personale. Per i ragazzi non può essere la scuola quella che produce questi processi per cui è necessario pensare ad altro.

STEFANO FERRIO- Da sette anni sono la voce narrante di Stefani e della sua band che lavorano con i testi in vicentino del blues di Robert Johnson, La lingua veneta adattata a quella musica degli anni 30 è straordinariamente attuale. Questa band potrebbe affrontare qualsiasi pubblico internazionale compreso quello americano che si stupirebbe dopo dovute accortezze e spiegazioni di quanto tutto questo lavoro sia vicinissimo allo spirito originale del blues. Abbiamo avuto tanti spettatori e abbiamo molto seguito ad ogni uscita. È insomma uno dei tanti fenomeni da riserva indiana: Dino Campana è morto inconsapevole della sua grandezza, Fogazzaro è rimasto estraneo a quello che valeva, eccetera. Tutto questo è però sempre totalmente indipendente dal diametro fisico della comunicabilità possibile per ciascun artista.

TONI VEDU'- La creatività appaga, questo è il problema, indipendentemente dal risultato e dalla comunicabilità e dal risultato. È anche di moda essere creativi, ma c'è proprio un appagamento personale notevole, come diceva Mastroianni è sempre meglio che lavorare. Faccio questo lavoro da sempre e tengo il piede in molte scarpe da vero curioso come deve essere un creativo. Il fatto è che la creatività ti richiede oltre che di non andare in pensione anche di avere sempre da fare e sempre pochissimo tempo di ritaglio per fare quello che in più ti piacerebbe e vorresti.

La città e il talento: siamo davvero creativi? (Art. corrente, Pag. 4, Foto generica)STEFANO FERRIO- Oggi come oggi gli stessi problemi li avrebbe Jimmy Hendrix, non so se mi spiego...

MATTEO NICOLIN- Proprio così, guardate che oggi la domanda che ci si dovrebbe fare è se si ascolta quello che si vuole o per quello che le major più potenti vogliono che ascoltiamo. Con la dovuta consapevolezza si riesce a sfuggire a queste leggi commerciali perché per trascendere il genere radiofonico corrente occorre uno sforzo mentale e non si può frullare generi tra Stockhausen e Sanremo, per dirla tutta. Non serve domandarsi quanti ascolteranno quel che faccio, ma se sono soddisfatto di quello che ho fatto.

Che ne dite di un tipo come Yeats che nel 34 ha scritto La Tua Anima Pellegrina e si è visto passare sotto gli occhi il Nobel dato a Grazia a Deledda due anni dopo? Mi sentirei di sfidare chiunque ad uscire indenne da una lettura come Canne al Vento. Anche qui siamo di fronte per Yeats ad uno che fa perché si vuole esprimere, non certo per gli applausi, per quanto sia stato poi molto amato.

STEFANO FERRIO- Confesso di non avere molta dimestichezza con Grazia Deledda, per cui non ne dico niente continuando a ignorarne tutto. Yeats è stato un grande che ha scritto forse per se stesso ma essendo stato molto amato è evidente che ha ricevuto qualcosa.

MATTEO NICOLIN- È un bellissimo esempio. È proprio tutto questo che deve stare alla base della creatività ed è quanto sto cercando nel mio piccolo di fare anch'io con i miei compagni...

 

nr. 11 anno XVIII del 23 marzo 2013 

 

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