Come si identifica e si sfrutta l'eredità che ci hanno lasciato i talentuosi del passato? Ripartiamo da Stefani...
TONI STEFANI- L'eredità si apprezza di più oggi: abbiamo la Basilica restaurata e diventata contenitore di grandi mostre, un fatto che coinvolge grandi masse, ma se ci spostiamo di cento metri vediamo che a Santa Corona si va a migliaia a rivedere il proprio patrimonio dopo il restauro. Se riuscissimo poi a riaprire un libro di Fogazzaro o di Parise, o di Piovene e tanti altri ci troveremmo anche riflessi a livello letterario, riscopriremmo i genomi del nostro patrimonio e avremmo di che affrontare con buoni strumenti la sfida del mondo contemporaneo.
STEFANO FERRIO- Insomma, qui qualcuno un giorno in mezzo a centinaia di bacalà spagnoli genovesi o portoghesi se n'è inventato uno nuovo. In tutti i campi compreso quello gastronomico o artigiano si firmano novità pregiate che prescindono sempre e comunque dalle dimensioni provinciali. Questa è creatività...
A proposito di provincia, come ce lo spieghiamo che Rovereto ha prodotto nel 900, molto dopo Rosmini quindi, una concentrazione di talento internazionale che risponde ai nomi di Fausto Melotti, degli architetti Sottsass, di De Pero, di Maurizio Pollini, con in più la ciliegina del museo d'arte moderna MART, punto di riferimento nei sogni di Neri Pozza ma ancora oggi inesistente a Vicenza?
TONI VEDU'- Secondo me è una questione ciclica. In altri posti ci sono e ci sono state felici combinazioni di artisti; guardate Vicenza dall'800 in poi, o nella Bologna del 700 i pittori, o nella dinastia dei Da Bassano, e poi i Maffei ecc. È anche un effetto di proselitismo. Palladio ha dato vita ad una serie di seguaci, imitatori di varia estrazione e vario livello praticamente infinita fino all'800, fino a Callegato Negrin, a Carlo Scarpa. Un seme fecondo fa l'esempio, chiaro. Ma a proposito del nemo profeta in patria: al nuovo tribunale hanno inaugurato nuove strade senza l'ombra di un ricordo di artisti, che so, Otello De Maria, Beltrame, Quagliato, Rigoni Stern. Solo politici o industriali o qualcun altro, ma nemmeno l'ombra di artisti: tutta gente degnissima ma nessun creativo di mestiere, ecco quel che voglio dire.
DANIELE BERARDI- È bello anche scoprire che oltre agli artisti famosi e visibili c'è anche una concentrazione fittissima di creativi non conosciuti come gli antichi. Facendo le serate di lettura di poesia ho scoperto Giorgio Lanza di cui non avevo mai neppure sentito parlare e che pure ha scritto bellissime poesie. Nella versione itinerante di Romeo e Giulietta a Montecchio abbiamo inserito una poesia di Adolfo Giuriato che è straordinaria e che sempre mi risultava sconosciuta. Gli autori cosiddetti minori non lo sono per difetto di grandezza ma per difetto di conoscenza. Una volta portati in primo piano si capisce che sono tutt'altro.
MATTEO NICOLIN- In materia tematica la mia ispirazione segue un cammino del tutto inaspettato anche per noi: ci siamo preoccupati di recuperare prima temi di carattere storico e rivisitarli in chiave moderna, problemi sociali compresi, poi però abbiamo cambiato e ci stiamo concentrando su una analisi più introspettiva, sui processi psicologici ed emotivi di un uomo, perché con la mia musica avrei la presunzione e il desiderio di poter creare paesaggi sonori che rispecchino meglio uno stato emotivo preciso e preminente che rimane comunque la chiave espressiva eterea. La stessa chiave sonora ha un suo significato e il metodo comunicativo può anche arrivare a destinazione in modo sempre diverso per chi ascolta. Noi siamo partiti come musicisti prima che come scrittori e abbiamo scelto l'inglese perché si presta di più per la morbidezza maggior del linguaggio rispetto alla musica di quanto non sia l'italiano. Per noi il sostegno ritmico è già accentuato, non abbiamo bisogno di toni duri, preferiamo l'inglese perché è più piano e ci si ricama sopra molto più semplicemente.
TONI VEDU'- Questa è in effetti una vecchissima storia che ha coinvolto tutti noi. Quando andavamo disperatamente alla ricerca di qualcuno che dalla base della Ederle venisse a spiegarci che diavolo dicevano i Rolling Stones era proprio questo tipo di pensiero che interpretavamo. La lingua che si presta di più è quella che si deve usare. Poi ho scoperto che il dialetto veneto è meno spigoloso dell'italiano, magari non come l'inglese, come ci ha dimostrato Stefani traducendo il blues di Robert Johnson. Da qui arriva lo sviluppo successivo di quanto ho fatto personalmente e con i miei amici e colleghi. Lasciamo fuori da questo discorso i Fabrizio De Andrè o gli Ivano Fossati, che parlano un linguaggio diverso, intellettuale, fuori dal ragionamento che sto facendo ora qui. Con l'Anonima cosa facciamo se non adattare musica da cabaret e di tutti i tipi semplicemente mettendoci parole venete che si vestono bene su qualunque folklore, senza limitazioni? Non è uno stile artistico propriamente detto, ma è sicuramente uno stile comunicativo in piena regola ed è questa l'efficacia del suo risultato.