NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Racconti di guerra, ma ricchi di umanità

Dai testi di Mario Rigoni Stern, commenta Filippo Tognazzo che ha portato in scena l’antologia di racconti dello scrittore asiaghese, emerge soprattutto la qualità delle persone

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Racconti di guerra, ma ricchi di umanità

Racconti di guerra, ma ricchi di umanità (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La stagione della prosa al Teatro Remondini di Bassano del Grappa si è conclusa con la pièce “il puro vento dondola i grani” tratta dalla raccolta “I racconti di Guerra”, un’antologia di racconti di Mario Rigoni Stern. Lo spettacolo ideato e messo in scena da Filippo Tognazzo insieme a Marica Ramazzo è stato creato appositamente per la conclusione della stagione di prosa di Bassano ed è una sorta Racconti di guerra, ma ricchi di umanità (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)di recital in cui i racconti si alternano a canzoni dell’epoca con un riarrangiamento jazz inedito.

Come in altri racconti di guerra, mi viene in mente quello che fece Cristicchi, Li romani in Russia, anche in questo i ragazzi partono con grande entusiasmo, un animo molto propositivo; eppure le generazioni passate hanno avuto guerre molto più ravvicinate e la memoria era molto più vicina e viva. Come mai, secondo te, in questi racconti, nei giovani che hanno vissuto la guerra c’è una specie di entusiasmo?

Filippo Tognazzo: «La guerra è vissuta per certi versi, anche in momenti di grandissima crisi, come una possibilità di rinnovamento e di mettersi in gioco, al servizio della nazione. Per questo probabilmente molti di loro andavano con grande entusiasmo, non tanto per la guerra e ammazzare la gente, ma proprio per questo mettersi al sevizio e mettere in discussione quello che era l’ordine costituito. Nei futuristi questo era molto evidente: c’era un bellissimo libro che si chiama “Esame di coscienza di un letterato” in cui l’autore descrive questo grande impeto dell’andare avanti e mettersi in gioco anche a rischio della propria vita, purché questo porti a un rinnovamento generale. Credo che in parte fosse anche questo e poi anche il fatto di avere dei modelli come gli anziani della Grande Guerra».

I racconti sono molto dettagliati, caratterizzati da termini tecnici e anche molto particolareggiati. Questo dà una connotazione molto locale e prevede anche una certa competenza tecnica, eppure Rigoni Stern era un autore conosciuto in tutto il mondo, tant’è che alcuni giornali inglesi, quando morì, dissero che era un tra gli autori più sottovalutati.

Racconti di guerra, ma ricchi di umanità (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)«Guarda, io rileggendolo adesso, mi rendo conto che in realtà tutto quello che lui ha scritto parla di umanità ed è quello l’aspetto che più mi ha colpito: sono tutti racconti di guerra, si parla di morte e di combattimenti, ma quello che più emerge è la qualità della persona. Considerando poi che lui era molto giovane, perché noi abbiamo questa immagine iconografica del grande vecchio, in realtà lui aveva 20 anni, e questo ti dà la misura di quanto lui fosse una persona di grande umanità: il contesto è spesso quello della guerra, ma non ti parla mai del nemico da uccidere, non lo vede mai con ostilità, è prima di tutto una persona. Anche questa grande empatia che lui riesce ad avere con i tedeschi, anche Levi per esempio, in maniera totalmente diversa, però comunque ti parla sempre di questa capacità di mantenersi sempre umano all’interno del lager, ed è una delle caratteristiche di Rigoni in generale: anche nella guerra lui si mantiene sempre umano e riesce sempre a stabilire un rapporto».

Voi avete scelto di far rivivere questi episodi solo col racconto, a parte qualche immagine di Rigoni Stern da giovane e alcune canzoni. Come mai avete preferito una forma più essenziale e più sobria, senza per esempio dei video?

«Per noi c’era un profondo rispetto del testo di Rigoni Stern, infatti non abbiamo fatto grandi modifiche al testo. Questo è racconti “I racconti di guerra” che è un’antologia della Einaudi che raccoglie tutto quello che lui ha scritto sulla guerra tranne “Il sergente nella neve”. Abbiamo letto tutto, selezionato dei pezzi e messi in ordine: doveva emergere il testo; sui video, le immagini e anche la musica non volevamo essere troppo descrittivi. L’immagine di lui da giovane mi servivano proprio per far vedere che aveva 20 anni, per me era fondamentale, e la parte musicale, riassumendo in uno slogan, abbiamo cercato di fare che le canzoni di guerra diventassero delle canzoni di pace. Sono passati 60 anni e ci piaceva l’idea che queste canzoni rimanessero e non fossero più vissute come qualcosa di antico, remoto che cantavano i nonni, ma andare a vedere cosa c’è sotto la canzone. “Sul ponte di Bassano” è una storia d’amore, di fatto, questi due che si danno la mano, il bacino, il nucleo della cosa è quello lì. “Sul ponte di Perati” ci faceva far emergere la nostalgia di questa gioventù che parte».

Lui dice: “Cosa vuole farsene Mussolini di queste Montagne?”. Loro si trovano tra Grecia e Albania, ma la domanda è tuttora attuale visto che queste problematiche sul confine del Veneto, Alto Adige, Austria ecc e sono problematiche che non si sono mai risolte.

«Non si sono mai risolte perché non si sono mai volute risolvere e quando arrivi ad un conflitto è di fatto la sconfitta di ogni tipo di discussione. L’identità non credo che la formi sulla base di un confine geografico: l’identità, le differenze e le somiglianze le riscontri a livello sociale confrontandoti, vedendo. Le zone di confine sono sempre modulari e il fatto di arrivare a combattere e tanto più mandare a combattere qualcun altro, sulla base di un’idea, perché c’era l’idea che si doveva avere il Regno di Albania, non si sa per quale motivo. Nella Prima Guerra Mondiale sono 600.000 i morti italiani sul confine italiano, un fronte di 600 km, fa uno ogni metro! Sono visioni distorte della realtà, effettivamente si fa fatica a capire come sia possibile poi vivere sapendo che la gente muore in maniera totalmente assurda».

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