NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Storie di preti, crisi comprese

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Giuliana Musso

Nella tua pièce, questi ragazzi somatizzavano molto: mal di stomaco, ulcera a 17 anni.

«Gli esseri più fragili sono i bambini: la privazione degli affetti primari, i bisogni insopprimibili dell’essere umano. Poi è chiaro che ci sono gli individui, che sono misteriosi, sono soggetti unici, a me interessa l’individuo, il valore della sua unica, inimitabile soggettività. Abbiamo il dovere di costruire dei sistemi che proteggano questa soggettività e sensibilità, generare regole che contemplino la soggettività e i bisogni primari».

DON_GALLO (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)Nella pièce viene rimarcato più volte che il rapporto con ciò che è esterno, quindi con il mondo e le persone, è qualcosa di pericoloso e negativo. In questi giorni è stato beatificato don Puglisi, poi è morto don Gallo, preti molto vicini alla gente.

don-puglisi (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)«Guarda anche il nuovo papa. Quello che è successo in questi mesi, dopo che io ho debuttato con questo spettacolo, è meraviglioso: un papa che dice che è anziano e non ce la fa più, e che quindi rimette al centro la sua dimensione umana prima di quella istituzionale, un altro papa che arriva e che si butta in mezzo alla folla e che alle prime cene e pranzi ufficiali che ha fatto ha invitato i parroci. Questo segnale che ci sta dando la Chiesa va raccolto immediatamente e con grande ascolto secondo me, e parla una che non ha questo bisogno della norma morale. Rimettere il senso della morale all’interno dei corpi, che contempli la nostra fragilità e i nostri bisogni. Io credo che la morale cattolica abbia fatto dei danni paurosi, sterminati e gravissimi alla nostra società e invece la spiritualità che offre all’interno delle relazioni nell’altro con l’altro: secondo me la cristianità è meravigliosa».

Però essendo un’istituzione ha delle regole, per esempio tu leggi dei regolamenti per l’eucaristia: 3 ore dai cibi solidi e un’ora dai liquidi al punto che ironizzi sul discorso del mangiasi le unghie. La gente in sala ride però sono delle regole che permettono di accedere a un rito che è essenziale e caratterizza il cattolicesimo distinguendolo dalle altre religioni.

«Io non voglio parlare di quello che non so: in questo spettacolo non faccio una critica alla dottrina, io metto solo in luce quanto il sistema del seminario sia stato paradigmatico del sistema della dominanza patrifocale, rigidissimamente androcratico proprio perché bisognava espellere i bisogni primari degli individui e che hanno a che fare con la sfera emotiva ed affettiva dell’individuo. Ed è lo stesso sistema che crea gli eserciti, le guerre, che deve agire con violenza per stabilire norme all’interno che difendono il sistema stesso e non le persone: non sono generate e create per la felicità umana, sono generate da una potente attrazione nei confronti di tutto ciò che è morte, non è generativo di vita. Tutto l’aver reso sporcizia, degrado, schifo intorno alla sessualità, per esempio, è stato gravissimo, è una colpa imperdonabile̱.

Secondo te il pubblico capisce il paragone “marzialità clericale” e marzialità effettiva di un esercito oppure percepisce più la sofferenza, il disagio, l’effetto più che la causa?

«Questo dovresti chiederlo alle persone. Io credo che il teatro debba fare fondamentalmente una cosa: porre degli interrogativi e porli utilizzando un linguaggio che è peculiare del teatro. È la sua specialità: tiene insieme analisi razionale e analisi emotiva, cioè agisce utilizzando le emozioni, quindi va a nutrire la nostra intelligenza emotiva, che è una forma suprema di intelligenza perché coglie la realtà nella sua complessità. Io voglio mettere insieme i pezzi, fare in modo che durante lo spettacolo le persone provino delle emozioni e che poi ritornino a mettere al centro del sistema delle norme l’essere umano».

C’è la scena finale, bellissima, in cui tu ti togli questa specie di abito talare civile e rimani in canottiera e pantalone, donna, e abbracci la tonaca, per cui si ritorna al discorso quasi di una salvezza femminile: questi uomini che andando nel mondo, ritrovandosi in una dimensione in cui non hanno nulla perché all’epoca non avevano un titolo di studio valido, non hanno un lavoro, non hanno niente e queste donne che si fanno carico di tutto e uno di loro lo dice: “la più coraggiosa è stata mia moglie”. Questo finale con questa scena semplicissima, breve, che tiene insieme il tutto.

«Io in realtà spererei che quel finale lì fosse più simbolico possibile, è una pietà, un femmineo che non è delle donne, è un essere femmineo ma che può essere di tutti, è un modo di esistere che si fonda nell’amore per l’altro nel contatto, nella cura, accudimento e accoglienza. È una grande madre tra le braccia della quale tutti vorremmo poter stare, tutti, non solo i preti ma tutti in quanto umani. È quell’amore e che si cerca e di cui tutti abbiamo infinito bisogno, si cerca quando si nasce e si cerca quando si muore, cerchiamo esattamente quella cosa lì».

 

www.artisceniche.com



nr. 21 anno XVIII del 1 giugno 2013

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